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La musica di Papa Francesco

10 marzo 2023

La musica di Papa Francesco

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“Dimmi che musica ascolti e ti dirò chi sei”, sosteneva uno studio della University of Leicester pubblicato nel 2006. Con il semplicismo scientifico e accademico tipico di quel genere di “studi”, non teneva conto dei tradizionali interrogativi complementari a quello con cui si è aperto questo breve pezzo: “come la ascolti?”, “dove la ascolti?”, “quando la ascolti?”, “perché la ascolti?”. Se, poi, le risposte a questi cinque interrogativi compongono il ritratto sonoro di un Pontefice regnante come Papa Francesco, non sarà difficile prevedere che la Sua esperienza musicale assumerà connotati non limitabili sic et simpliciter nei recinti angusti dei gusti musicali, dei gruppi sociali, dei livelli di istruzione o delle condizioni socio-economiche.

E infatti, pur nella consapevolezza dell’insuperabile concretezza di tali coordinate della fruizione musicale, Bergoglio attribuisce alla musica una “forza” in grado di muovere “la coscienza personale di ciascuno”, ma anche di agire proattivamente sulla scena di “una fraternità universale”: una “forza” di natura personale e comunitaria, questa, che, secondo Papa Francesco, opera non solo nella tradizionale e istituzionale cornice della musica sacra, ma anche più ampiamente in quella della cosiddetta “art music” e, secondo modalità loro proprie e non sempre adeguatamente esplorate e valorizzate, delle consorelle “folk music” e “pop music”.

C’è da essere certi che, a dispetto del miope adagio secondo il quale il gesuita “non rubricat nec cantat”, Papa Francesco, che pure non fa mistero di ritenersi “stonatissimo”, in realtà non rinunci ad accennare tra le mura discrete e pazienti di Casa Santa Marta gli inconfondibili profili melodici di alcuni brani musicali che hanno scandito alcuni momenti della Sua vita e che continuano ad accompagnarlo nella Sua missione evangelizzatrice:

  1. l’Erbarme Dich della Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach, il cui “Abbi Pietà che il discepolo ripete di fronte alla sua infedeltà precede il coro che richiama la misericordia di Dio”;
  2. l’Et incarnatus della Messa in do minore K 427 di Wolfgang Amadeus Mozart, “che narra la meraviglia dell’inconcepibile consegnata a un canto che turba e aggancia il cielo”;
  3. l’inesauribile e contraddittoria bellezza del Parsifal wagneriano nella versione portata in scena dal direttore d’orchestra tedesco Hans Knappertsbusch nel 1962;
  4. “il primo indovinello della Turandot” di Giacomo Puccini, che la “speranza cristiana” supera in quanto “regalo di Dio che non si può ridurre all’ottimismo che è solamente umano”;
  5. l’originario paesaggio sonoro e antropologico del tango argentino che un maestro di questo prezioso genere musicale nato “dall’altra parte del mondo” come Carlos Gardel ha saputo far apprezzare ai quattro angoli del pianeta.

 


La “varietà delle culture” che questi brani musicali incarnano con la loro caratteristica, sapiente cooperazione dialogica tra suoni e silenzi, “crea ponti, avvicina le persone, anche le più lontane; non conosce barriere di nazionalità, di etnia, di colore della pelle, ma coinvolge tutti in un linguaggio superiore, e riesce sempre a mettere in sintonia persone e gruppi di provenienze anche molto differenti”. È proprio tale cooperazione che porta in primo piano la responsabilità dell’interprete, giacché, sempre secondo Papa Francesco, «il buon interprete è animato da grande umiltà dinanzi all’opera d’arte, che non gli appartiene. Sapendo di essere, nel suo campo, un servitore della comunità, cerca sempre di formarsi e di trasformarsi interiormente e tecnicamente, per poter offrire la bellezza della musica”.

Un articolo di

Enrico Reggiani

Enrico Reggiani

Docente di Letteratura inglese e Direttore dello Studium musicale di Ateneo - Università Cattolica

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