Innanzitutto un paio di numeri: il 70% dell’acqua dolce del Pianeta è utilizzata per scopo irriguo; due terzi della popolazione mondiale vive in aree in cui c’è carenza idrica almeno per un mese all’anno.
Si può partire da questi dati per cogliere l’attualità e l’opportunità offerte dalla tesi di Phd “Assessment of water footprint methodologies to evaluate the impacts of food production and consumption on water resources”, firmata da Maria Zucchinelli, che ha da poco ultimato la Scuola di Dottorato per il Sistema Agroalimentare Agrisystem all’Università Cattolica di Piacenza.
Un lavoro, quello di Zucchinelli, nato come naturale prosieguo degli studi in ingegneria ambientale compiuti al Politecnico di Milano, dove ha cominciato a interessarsi dei temi inerenti la sostenibilità.
«La ricerca - spiega Zucchinelli - nasce dal progetto Viva, già in corso, che punta a migliorare le prestazioni di sostenibilità della filiera vitivinicola, progetto in cui l’attenzione è posta su quattro indicatori di sostenibilità: l’acqua, il territorio, l’aria e l’indicatore di vigneto». Quello dell’acqua era già stato sviluppato, ma necessitava di essere rivisto: da qui nasce il contributo della ricercatrice cremonese.
Zucchinelli si è occupata di quantificare l’impronta idrica di differenti modelli di produzione e consumo alimentare, con l’obiettivo di individuare quelli considerati sostenibili nell’ottica di una riduzione dell’impatto sulla risorsa idrica.
Detto che per impronta idrica si definisce come il consumo di acqua diretto e indiretto necessario per la produzione di un bene o per svolgere un determinato servizio, la ricercatrice spiega come «in letteratura esistano due diverse metodologie per calcolare tale impronta idrica. L’obiettivo era confrontarle. All’interno della tesi sono state valutate le due prospettive, quella del produttore e quella del consumatore, in quest'ultimo caso si è analizzato come diversi stili di vita e di dieta possano influire sull’impronta idrica».
In modo particolare, Zucchinelli si è occupata di quest’ultimo punto e i risultati hanno evidenziato come «scelte alimentari consapevoli e bilanciate da un punto di vista nutrizionale permettano di risparmiare elevati quantitativi di acqua e quindi favorirne una gestione sostenibile». «I diversi stili di consumo alimentare - spiega - influiscono sulla possibile scarsità idrica. Le diete sono state valutate considerando anche l'aspetto nutrizionale e dai risultati emerge che a influire di più sull'impatto legato all'acqua è la provenienza, ovvero il luogo di produzione primaria del prodotto acquistato. Partendo da ciò, nella ricerca sono evidenziate delle buone pratiche per ridurre lo spreco d'acqua, ad esempio dare la preferenza a prodotti stagionali da reperire in loco».
Per quanto riguarda la produzione, fra le varie indagini presenti nella ricerca una ha riguardato il settore vitivinicolo. «Si è svolto un confronto fra vigneti di agricoltura convenzionale e biologica, da cui è emerso che questi ultimi risultano essere più sostenibili sotto il profilo idrico».
Un’esperienza ricca quella triennale vissuta all’interno di Agrisystem, che ha condotto Zucchinelli in Danimarca, a Copenaghen, proprio nel periodo più acuto dell’epidemia. Oggi Zucchinelli ha un assegno di ricerca all’Università Cattolica. Il suo lavoro è sempre collegato alla sostenibilità. «Ma in questo caso mi occupo del settore lattiero caseario - afferma - in particolare degli impatti della fase di stalla per la produzione di latte destinato al Grana Padano», quindi spiega una delle ragioni di tale versatilità. «Benché la mia tesi di dottorato si focalizzi sull’aspetto idrico, nessun indicatore può essere assunto indipendentemente dall’altro. Occorre valutarli insieme, perché un’azione volta a migliorare quello idrico potrebbe avere conseguenze negative su altri aspetti».
Ma quali possibili sviluppi, ora, per la sua ricerca? «La necessità è ridurre il consumo idrico e dare vita a un'opera di sensibilizzazione. Occorre approfondire lo studio dell’impronta dell’acqua, di cui si parla meno, ad esempio, rispetto all’inquinamento dovuto al carbonio».
Da questo punto di vista Zucchinelli sottolinea la difficoltà nel misurare l'impatto dell'acqua piuttosto che quello della Co2. «Un chilogrammo di Co2 emesso in Canada ha la stessa incidenza di un chilogrammo di Co2 emesso in Messico, ma la differenza di disponibilità idrica fra i due Paesi fa sì che consumare 10 metri cubi d'acqua nel Paese del Centroamerica abbia ben altri effetti rispetto allo stesso consumo in territorio canadese». In sintesi, la scarsità d’acqua è da valutarsi su scala locale più che globale.
«Inoltre - aggiunge riferendosi a possibili future articolazioni della sua ricerca - si potrebbero realizzare delle linee guida, soprattutto per capire il luogo di provenienza degli alimenti e l’impatto provocato dal consumo di cibo e dalla sua produzione, affinché vi sia una spinta a restare nei limiti di un consumo idrico sostenibile».