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Niente sarà più come prima? Dibattito sul mondo del lavoro post-pandemia

25 marzo 2021

Niente sarà più come prima? Dibattito sul mondo del lavoro post-pandemia

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Quando tutto questo sarà finito niente sarà più come prima. Smart working, webinar, didattica a distanza, ma anche Zoom, Teams, Webex. Parole che, in oltre un anno di vari lockdown, abbiamo imparato a conoscere e che adesso ci sono familiari. Riusciamo a pensare a un mondo senza tutto questo? Difficile. Molte cose, si spera il prima possibile, torneranno a quella che potremmo chiamare 'normalità', ma è evidente che su molte altre cose indietro non si torna. E questo vale anche per il mondo del lavoro.

È stato questo, mercoledì 24 marzo, il tema della terza e ultima tavola rotonda dell'Open Week delle lauree magistrali della Cattolica, "L’Università al tempo del Covid. Educazione dei talenti o fabbrica dei sogni?". Un dibattito che, moderato da Michele Faldi, direttore offerta formativa, promozione, orientamento e tutorato dell’Ateneo, ha messo a confronto i docenti universitari. Massimo Castagnaro, Emmanuele Massagli e Ivana Pais.

Un articolo di

Luca Aprea

Luca Aprea

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«L'emergenza Covid-19 è l'ultimo tratto di un percorso, di cui tutti avremmo fatto ovviamente volenteri a meno, che ha cambiato tantissimo l'Università italiana negli ultimi dieci anni. C'è più apertura e attenzione rispetto al mondo del lavoro da parte degli atenei» – ha detto aprendo l'incontro Massimo Castagnaro, docente dell’Università di Padova e già membro del Direttivo di Anvur - c'è stata la rottura dell'autoreferenzialità delle università che era molto diffusa. Non c'è più quella tendenza a seguire con più attenzione la politica accademica che non le esigenze degli studenti. Possiamo poi notare una comunicazione trasparente degli obiettivi e dei percorsi didattici che ha reso più chiari i percorsi formativi. In sintesi – ha concluso . Il quadro del sistema universitario italiano è eterogeneo. Molti atenei hanno migliorato il proprio ranking, nessuno è eccellente in tutte le aree ma il livello medio è uno dei più alti del mondo. Poi ovviamente la mappa è a macchia di leopardo: ci sono cose ottime e alcune criticità».
 

Secondo Emmanuele Massagli, presidente di Adapt e di Aiwa (Associazione Italiana Welfare Aziendale) e Alumno dell'Ateneo, la vera chiave nel rapporto tra il mondo delle università e quello del lavoro è lo sviluppo delle cosiddette 'competenze trasversali': «Le conoscenze sono date per scontate, specie per chi esce da un corso di laurea magistrale, ma le non cognitive skills vengono valutate con grande attenzione al momento dei colloqui di selezione. Anche attraverso domande trabocchetto (“Quanto pesa una locomotiva?), di cui neanche l'esaminatore conosce la risposta ma che mirano a testare le capacità di ragionamento del candidato. Ma non solo. Le aziende nei laureati cercano specifiche competenze: autonomia, fiducia in se stessi, creatività, gestione stress, fluidità ed efficacia comunicativa, capacità di apprendimento continuo, decision making, imprenditività, capacità di lavorare in gruppo. Non sono alternative alle conoscenze, che sono necessarie, ma le affiancano. E fanno la differenza. Gli studenti non devono fare l'errore di concentrarsi, durante il percorso di formazione, unicamente alle mere nozioni. Un esempio? Provare tutti gli insegnamenti, anche quelli fuori dal loro piano di studi. La curiosità premia».

«Non solo gli studenti si stanno interrogando sul proprio percorso ma, per motivi diversi, anche gli accademici, soprattutto gli economisti, si pongono la stessa domanda, analizzando le recenti trasformazioni. Molti studi – ha ricordato Ivana Pais, sociologa dell'Università Cattolica - muovono in questa direzione. E spesso gli esiti sono contraddittori. Ma se torniamo al primo livello, quello studenti/famiglie questa confusione chiaramente disorienta».

«In una ricerca realizzata dall'Istituto Toniolo abbiamo provato a cambiare prospettiva: Non chiedere “Quali sono le professioni del futuro?” ma “Che idea hanno i giovani delle professioni del futuro?”Il risultato è stato interessante. I ragazzi hanno la capacità di prevedere, rispetto alla polarizzazione in corso, le professioni in ascesa. Ma hanno più difficoltà a individuare quelle in declino. La trasformazione digitale ha imposto la crescita di impieghi in determinati ambiti (AI, big data, digital analyst) ma più difficoltà a individuare professioni in crescita fuori dall'ambito tecnologico».

«Per quanto riguarda le competenze trasversali. È il genere, e non il titolo di studio a essere rilevante. Le donne tendono a darsi voti mediani, né alti né bassi, a differenza degli uomini. Sono più equilibrate. La competenza invece c'è più gap invece è quella della leadership dove le donne si danno un voto molto più basso rispetto agli uomini. Questo succede – ha concluso - perché nel mondo vedono pochissimi esempi. E questo deve indurre una riflessione».

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