NEWS | centenario

Politiche: tra Sussidiarietà e valutazione

15 luglio 2021

Politiche: tra Sussidiarietà e valutazione

Condividi su:

Per celebrare l’anno del centenario, la Facoltà di Scienze politiche e sociali ha scelto tre parole che caratterizzano la propria visione del mondo: Potere, Politiche e Popolo. A partire dall’individuazione di questi termini è stato realizzato un progetto che ha coinvolto docenti e studenti con dei Focus Group, per riflettere insieme sul loro significato e sulle declinazioni che possono assumere. I tre termini sono stati anche oggetti di altrettanti seminari che hanno visto confrontarsi vari docenti della Facoltà.


La seconda parola su cui la Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica ha scelto di riflettere nell’anno del Centenario dell’Ateneo è “Politiche”. Uno strumento per affrontare quella che il preside di Facoltà Guido Merzoni ha definito in apertura del webinar moderato dal professor Andrea Santini come la «crescente necessità di provvedere a beni pubblici come ambiente, sicurezza e salute di fronte alla crisi di un modello basato su beni privati». Come provvedere? Attraverso il principio di sussidiarietà orizzontale e verticale, vista l’incapacità crescente dei governi nazionali nel rispondere a problemi sempre più di livello globale.

Per Roberto Zoboli sono tre i punti fondamentali che ruotano al concetto di Politiche per lo sviluppo: «Esse sono difficilmente valutabili, danno risultati in tempi molto lunghi e ciò porta a un’ampia possibilità di errori. Il ruolo delle idee nel plasmarle è decisivo: pensiamo all’innovazione digitale e alla sostenibilità. Gli attuali modelli di crescita basati su innovazione e capitale umano sono nati negli anni 80 e hanno portato a una strategia europea che fissa il vincolo del 3% dei budget da investire in Ricerca e Sviluppo. Anche il rapporto tra pubblico e privato in questo dibattito ha un ruolo chiave. La contrapposizione tra le due sfere sembra attenuarsi e assisteremo sempre più a un endorsment delle imprese su obbiettivi sociali e ambientali mentre lo Stato cercherà sempre di più il loro coinvolgimento per raggiungere gli obbiettivi. Ma c’è il rischio di una illusione reciproca: da parte delle imprese perché lo Stato non ha soldi, che invece dovranno essere investiti dai privati, e da parte della sfera pubblica, che è convinta di poter usare il mondo del business per perseguire fini sociali».

I principi di sussidiarietà orizzontale e verticale sono vettori fondamentali lungo i quali far progredire le politiche di sviluppo. Secondo Barbara Boschetti «La parola Sussidiarietà è pericolosa. In essa convivono concetti come Libertà, Eguaglianza, Autonomia e Autorità. Nel nostro ordinamento essa però viene vista più con gli occhi del “Potere”, che la riduce a mera amministrazione, mentre leggere la Sussidiarietà attraverso la lente delle “Politiche” le dà un altro valore. Oggi tutto trascende tutto, non esistono centri decisionali che esauriscono qualcosa e questo mette in crisi la Sussidiarietà intesa solo come allocazione di compiti e funzioni a tanti centri di potere in modo che ognuno avesse il suo. Pensiamo all’OCSE, un organo di diritto internazionale che dialoga direttamente con la società civile. Gli stessi fini pubblici trascendono. Fare le leggi oggi diventa dunque un processo: una buona legge non appartiene solo allo Stato ma richiede la partecipazione di tutti i soggetti di tutti gli ordinamenti. Per le politiche pubbliche sussidiarietà significa capire come dare un’infrastruttura a questi processi».

Ma se le decisioni trascendono i centri di potere l’amministrazione resta il cuore delle politiche pubbliche. Per Silvio Cottellessa «Una norma di per sé non produce una politica - intesa nell’accezione anglosassone di policy-. Ci possono essere maree di leggi senza effetto, se a esse non segue un processo di implementazione restano lettera morta. Si dice che le politiche esistano per risolvere problemi, dico che esistono ed eventualmente li risolvono. Sono cicli che ripartono continuamente la cui valutazione, intesa non come riscontro di legittimità ma come apprendimento, non si chiude mai. In questo la sussidiarietà ha un ruolo chiave: se non c’è un fruitore al centro dei processi legislativi essi sono destinati a fallire. Se faccio una riforma del sistema scolastico disegnata benissimo ma operatori scolastici e famiglie non aderiscono essa fallirà».

Anche valutare le politiche è un termine che si presta a diverse interpretazioni. «Ne possiamo individuare almeno tre -sottolinea Gianpaolo Barbetta-. Può voler dire rendicontazione, cioè valutare una politica in base a quanto speso e a quanti fruitori sono stati raggiunti; può voler dire monitoraggio, ovvero cercare di capire cosa sta succedendo mentre sta ancora succedendo; infine l’analisi degli effetti. Provare a capire se essa cambia qualcosa sui destinatari degli interventi. Nel nostro paese vedo pochissima attenzione per gli effetti finali. Forse non tutte le politiche sono valutabili ma credo sia importante farlo dove possibile. Parlando di Sussidiarietà, prima si accennava al concetto di sussidiarietà verticale e quindi al decentramento. Ma dove è opportuno decentrare? Esso non è un bene in sé, e la gestione sanitaria della pandemia da parte delle regioni lo dimostra. Il grado di sussidiarietà andrebbe deciso in base al suo obbiettivo finale. Lo stesso vale per la sussidiarietà orizzontale. Dovremmo essere pragmatici e non dogmatici: gli esiti che ci immaginiamo a chi sono destinati? Invece molto spesso vediamo interventi fatti per i soggetti promotori stessi. In Italia invece c’è molto dibattito su ciò che non è valutabile».

«Se l’attività politica deve essere rivolta a un bene comune che concili gli interessi privati con quelli pubblici esso non può prescindere dalla sollecitudine verso l’Altro» sottolinea Maria Luisa Raineri. «Questo deve valere in ogni ambito, sia esso economico o socio-assistenziale. Una caratteristica dei servizi alla persona è la personalizzazione dell’intervento. Ma essa deve avere un significato più profondo di un orlo da sistemare su un abito sartoriale. Le situazioni di difficoltà in cui intervengono questi servizi richiedono sempre un riorientamento rispetto a set di prestazioni standard: molto spesso le persone hanno bisogno di aiuto per ridefinire la loro quotidianità o il senso stesso della loro vita. Seguendo la metafora sartoriale direi che significa più portare a termine un restauro che confezionare un abito nuovo».

Un articolo di

Redazione

Redazione

Condividi su:

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti