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Scienze politiche e sociali, cent’anni a garanzia del futuro

10 giugno 2022

Scienze politiche e sociali, cent’anni a garanzia del futuro

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“La tradizione è la garanzia del futuro”, diceva Gustav Mahler. È lo spirito con cui ricordare i cento anni delle scienze sociali e politiche in Università Cattolica. Una storia fatta di discepoli, diventati maestri, che passano a loro volta il testimone alle nuove generazioni. Come ben descrive il volume curato da Damiano Palano “Un ideale da molti anni coltivato" (Vita e Pensiero) per ricordare i primi 50 anni di questo magistero, gli studenti della prima ora dell’Ateneo, nel 1921 si trovarono a frequentare proprio queste discipline, anche se la facoltà vera e propria sarebbe nata molto tempo dopo.  Per questo, come fa notare il rettore Franco Anelli, aprendo in aula magna a Milano la seconda parte dell’iniziativa “La facoltà di Scienze politiche e sociali: leggere la storia per guardare al futuro”, che si è tenuta il 9 giugno scorso, «ripercorrere le vicende delle scienze sociali in Cattolica non significa solo ripercorrere i cento anni dell’Università Cattolica ma anche la storia del nostro Paese».

Basta vedere alcuni dei nomi, ricordati dal professor Alberto Quadrio Curzio, preside tra il 1989 e il 2010: laureati dell’Università come Ettore Rotelli, Romano Prodi, Roberto Ruffilli, Pierangelo Schiera che divennero, con lo stesso Quadrio Curzio, i pilastri delle scienze politiche in Italia lungo l’asse che unisce Milano-Cattolica con l’Alma Mater di Bologna.

«Due facoltà che hanno dato molto alle scienze sociali in Italia» afferma l’economista che è stato preside in entrambe le città, cui fa eco l’amico Romano Prodi che, dopo la laurea in Giurisprudenza in largo Gemelli (fu uno dei primi economisti laureati in quella facoltà, prima della riforma), proprio nella Bologna degli Andreatta, Ardigò, Matteucci e Alberigo, contribuì alla definizione della facoltà che fece scuola in Italia, introducendo l’ordinamento basato su un biennio comune per tutti e un secondo biennio più focalizzato su singoli ambiti disciplinari: l’economia, la sociologia, la storia, il diritto, cui si aggiunsero in seguito gli studi internazionali.


«Erano gli anni della crisi dei missili a Cuba» racconta Prodi. «È passato tanto tempo e oggi torna la stessa paura. Occorre riflettere su quel dialogo estremo che ha impedito allora una guerra nucleare. Penso con una certa angoscia che allora i grandi nemici si parlavano mentre oggi non si parla più. La facoltà di Scienze politiche non può risolvere queste grandi questioni ma un certo tipo di preparazione complessiva ai bisogni della società sarebbe utile per gestire una situazione politica complessa». Citando l’analisi di Fukuyama sulla fine della storia dopo il 1989, Prodi fa notare che non sempre la conoscenza può individuare il corso degli eventi, «ma sarebbe molto utile per la classe dirigente una formazione di questo tipo».

Come fanno notare molti dei testimoni intervenuti al dibattito, da Vincenzo Cesareo, “padre” della Sociologia in Cattolica, a Lorenzo Ornaghi, politologo e rettore dell’Ateneo dal 2002 al 2012, il fiore all’occhiello della facoltà è formare non degli specialisti, ma, come dice ancora Romano Prodi, «persone con quella formazione generale così ricercata dalle facoltà americane». «Le facoltà di Scienze politiche hanno fatto molto di più del compito che era stato loro affidato per formare professionisti» chiosa Quadrio Curzio. «Hanno aperto la mente di persone dotate per praticare le più diverse professioni». Come testimonia anche Marco Clerici, co-responsabile Investment banking e Responsabile Global Financing di Equita Sim: «I miei colleghi nelle banche d’affari erano sempre più specializzati di me che venivo dalla laurea in Scienze politiche in Cattolica nel 1995 con il professor Lorenzo Ornaghi. Ma nel corso della carriera tutte le soft skills imparate qui mi sono servite più di tante formule matematiche, perché nel mio lavoro di vendita e di relazioni contano molto di più la psicologia e la sociologia. Del resto, oggi nel mondo del lavoro la interdisciplinarità, cavallo di battaglia della nostra facoltà, è molto premiante».

Il che non vuol dire che la specializzazione non sia importante, come sottolinea Ester Benigni, laureata nel 1985 con il professor Quadrio Curzio e oggi direttore Affari regolatori e concorrenza del gruppo A2A. «Lavorando nel settore dell’energia e della sua regolamentazione, ho capito che la multidisciplinarità è un punto di partenza e non di arrivo: il mio lavoro mi ha costretta a una specializzazione spinta, maturata con un apprendimento continuo. La mia attitudine e la mia formazione mi hanno aiutato molto a essere flessibile e a conoscere cose nuove».


L’iniziativa per i cento anni delle scienze sociali - cui sono intervenuti anche Gabriele Paolini, della Scuola di Scienze politiche “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze, Paolo Pombeni, dell’Università di Bologna, e Claudia Rotondi, della facoltà della Cattolica, che ha stimolato il dibattito nella seconda parte del pomeriggio - è un’occasione per «una ricognizione storica che non si conclude» come afferma il preside Guido Merzoni, chiudendo i lavori, tanto da rilanciare l’invito a curare una ricostruzione storica anche dei secondi 50 anni di queste discipline. «Ma quella storia, oltre a un grande sentimento di gratitudine, ci consegna una grande responsabilità: di affrontare le grandi sfide culturali e sociali che il cambiamento d’epoca ci pone davanti. Per rispondere alle grandi crisi del nostro tempo, prima tra tutte quella ambientale richiamata da papa Francesco nella Laudato si’, servono risposte culturali creative e la formazione di nuove leadership che siano in grado di farsene interpreti». È in questo intreccio con la tradizione che risiede la garanzia del futuro.

Un articolo di

Paolo Ferrari

Paolo Ferrari

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