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Ucraina, come proteggere il patrimonio culturale dalla guerra

29 aprile 2024

Ucraina, come proteggere il patrimonio culturale dalla guerra

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«La protezione del patrimonio culturale in Ucraina non è un argomento semplice, non appartiene al passato ma è ancora in cerca di soluzioni». Così si è aperta lunedì 22 aprile la lezione del professor Andrzej Jakubowski dell’Institute of Law Studies, Polish Academy of Science, Rapporteur del Comitato per la salvaguardia dei beni culturali nei conflitti armati dell’International Law Association. L’evento, dal titolo “Protecting Ukraine’s Cultural heritage in wartime: identifying the responsibilities of non-parties to the conflict”, organizzato e presentato nel corso di Law & the Arts presieduto dalla professoressa Arianna Visconti nell’ambito della laurea in Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo, è stato anche l’occasione per riflettere, con il coinvolgimento di un pubblico più ampio di studenti, studiosi e cittadini interessati, sulla relazione in materia di protezione del patrimonio culturale (ucraino e non solo) nei conflitti armati richiesta dalla Commissione Cultura del Parlamento Europeo e recentemente pubblicata, cui il professor Jakubowski ha dato un importante contributo.

Il conflitto russo-ucraino è anche una guerra di identità. Da un lato, il giovane stato ucraino vuole affermare la sua identità di popolo auto-determinatosi, dall’altro, la Russia spinge per ri-appropriarsi dei territori orientali, primo fra tutti la Crimea, dove l’imprinting russo è ancora forte. Mentre il governo di Mosca nega ripetutamente il diritto alla sovranità interna ed esterna dell’Ucraina, la stessa avanzata delle truppe russe e l’attacco diretto e sistematico al patrimonio culturale ucraino, come la distruzione del teatro di Mariupol, della Cattedrale di Odessa e il sacco del sito archeologico di Kamyana Mohyla (nella regione di Zaporiggia), oltre a essere una violazione del diritto internazionale, rappresentano il rigetto simbolico dell’esistenza di un’identità nazionale ucraina: della sua lingua, delle sue professioni religiose, dei suoi beni culturali, delle sue tradizioni, intese come patrimonio immateriale, e delle comunità che vivono attorno a quel patrimonio.

Sia Russia sia Ucraina hanno preso parte alla Convenzione dell’Aja del 1954 sulla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato e del suo primo Protocollo, a oggi il principale  strumento di protezione del patrimonio culturale in guerra. Eppure il caso-studio ucraino testimonia la crescente sfiducia dei paesi occupati verso questo trattato. Tarda, infatti, l’enforcement della Convenzione e dei suoi due protocolli da parte dell’Ucraina che solo di recente ha predisposto una lista di beni da porre sotto protezione rafforzata temendo azioni mirate della Russia sul patrimonio in elenco e non ha ancora messo in sicurezza i suoi beni culturali mobili inviandoli a paesi terzi, verso i cosiddetti safe havens, per paura che non siano più restituiti. Se le eccezioni sollevate da Kyiv sembrano legittime significa che la comunità internazionale ha ancora tanto da lavorare per superare lo scetticismo dei paesi belligeranti tra loro e verso i paesi terzi nel rispetto dei principi fondamentali del diritto internazionale pattizio.

L’aspetto centrale della lezione del professor Jakubowski è stato individuare quello che gli Stati Membri dell’Ue possono fare per proteggere il patrimonio culturale in Ucraina mentre il conflitto è ancora in corso. Oltre a fornire la piena disponibilità di accogliere i beni culturali mobili, i principali obblighi per i paesi terzi sono quelli di impedire che beni culturali rubati o illecitamente esportati dallo stato occupato entrino e vengano messi in commercio sul mercato europeo o altre piazze e di cooperare per il loro ritorno al paese di provenienza. In particolare, l’obbligo della restituzione del patrimonio rimosso durante un conflitto armato allo stato d’origine è previsto non solo dal citato primo Protocollo, ma anche dalle Convenzioni UNESCO (1970) e UNIDROIT (1995). Il contenimento del traffico illecito di beni provenienti dall’Ucraina, ma anche da altri stati occupati, fornirà un immediato banco di prova per il Regolamento (UE) 2019/880 relativo all’introduzione e all’importazione di beni culturali e il suo Sistema Elettronico Centralizzato, operativo entro giugno del prossimo anno. Restano comunque sempre aperte le vie delle sanzioni economiche contro la Russia o contro determinati individui e i ricorsi davanti alla Corte Internazionale di Giustizia o davanti e alla Corte Penale Internazionale per condotte criminali riconducibili a singoli individui.

Parlando a una platea composta per la maggior parte da studenti della Facoltà di Economia, il professor Jakubowski ha ricordato come la protezione del patrimonio in tempo di guerra concerna anche aspetti che non necessariamente trovano fondamento in norme internazionali, ma ne rappresentano un’evoluzione logica, come la gestione del patrimonio sotto attacco, un aspetto interconnesso alla salvaguardia richiesta dal diritto umanitario e dal diritto internazionale dei beni culturali. Indipendentemente dalle strategie adottate dall’Ucraina per proteggere il patrimonio culturale è emerso un duplice punto focale. Primo, l’importanza degli strumenti internazionali che devono essere conosciuti, presi in considerazione e applicati per far valere gli obblighi pattizi che ne derivano, anche per i paesi che non sono immediatamente parte del conflitto. Secondo, un monito: considerata la crescente importanza delle comunità di patrimonio nel panorama internazionale, esse dovranno essere attivamente coinvolte nei processi di ricostruzione.

Foto di Dmytro Tolokonov su Unsplash

Un articolo di

Giuditta Giardini

Giuditta Giardini

Dottoranda, iscritta al secondo anno del Dottorato in Impresa, Lavoro, Istituzioni e Giustizia penale

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