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Chiara Ferragni, Milano e la percezione della sicurezza

21 luglio 2022

Chiara Ferragni, Milano e la percezione della sicurezza

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Se chiedessimo a un passante a Milano se si sente sicuro camminando per strada da solo al buio nella zona in cui vive, quasi una persona su cinque risponderebbe in maniera negativa. Tra queste persone, come abbiamo potuto leggere sui social, c’è anche Chiara Ferragni, la nota influencer, che recentemente basandosi sulle storie di persone a lei vicine, rivolgendosi al sindaco Giuseppe Sala, si è dichiarata allarmata per l’aumento dei reati, come furti e rapine, che avvengono in città.

Questo fatto di cronaca “politico-social” si intreccia con un fenomeno studiato da tempo dalla sociologia. Gli ha dedicato uno studio approfondito, in particolare, Serena Favarin, ricercatrice di Sociologia della devianza dell’Università Cattolica e vice-coordina­trice del percorso in Politiche per la Sicurezza (PoliSi), nel libro, edito da Vita e Pensiero, "Insicurezza, paura, vittimizzazione". La sua indagine sulle dinamiche legate alla criminalità esplora sia il punto di vista teorico che empirico, concentrandosi in questo secondo caso proprio su Milano, dove è stata effettuata una ricerca sulla vittimizzazione e sulla percezione della sicurezza nella metropoli.

«Le cause dell’insicurezza possono essere molteplici e dipendono dal contesto storico, sociale, culturale ed urbano in cui ciascun individuo è inserito. Le conseguenze derivanti da questo generale senso di insicurezza e irrequietezza possono essere gravi sulla salute mentale, fisica e sulla qualità della vita dell’individuo» afferma la ricercatrice nel suo libro.
La percezione che abbiamo del pericolo, più che il pericolo stesso, condiziona spesso le nostre azioni quotidiane, i nostri comportamenti e le nostre scelte. È perciò fondamentale che questa percezione sia quanto più possibile aderente alla realtà dei fatti.

Abbiamo posto alcune domande all’autrice, riguardo i rischi di una percezione sbilanciata della criminalità.

L’allarme lanciato da Chiara Ferragni è conseguenza di una preoccupazione che non va certamente sminuita, ma piuttosto contestualizzata. Quali sono i principali fattori che contribuiscono alla insicurezza percepita nella propria città o quartiere?
«I fattori che alimentano (o attenuano) la paura di subire un crimine e, di conseguenza, incidono sul nostro senso di insicurezza (o di sicurezza) possono essere molteplici. Questi fattori si possono ricondurre a due macro-categorie principali: i fattori individuali, che dipendono dalle caratteristiche del singolo, e i fattori ambientali, che sono legati alle caratteristiche peculiari dell’ambiente circostante che possono avere un’influenza sulle percezioni individuali. Per quanto riguarda i fattori individuali, precedenti esperienze di vittimizzazione, caratteristiche demografiche e socioeconomiche possono incidere sul senso di sicurezza di ognuno. Le donne, gli anziani, coloro che hanno bassi livelli di istruzione, un basso status socioeconomico e una salute precaria hanno una probabilità più alta di sentirsi insicuri e di sviluppare una generale paura nei confronti della criminalità. Inoltre, anche gli stili di vita e la fruizione dei media possono incidere sulla paura e sul senso di insicurezza, così come la fiducia nelle istituzioni e nel contesto sociale circostante. Molti studi hanno sottolineato come i soli fattori individuali non siano in grado di spiegare in modo esaustivo la paura nei confronti della criminalità».

Come si misurano allora queste percezioni?
«Per studiare in modo omnicomprensivo questo sentimento multidimensionale è necessario indagare l’interazione che l’individuo tesse con l’ambiente circostante. Le caratteristiche strutturali del quartiere in cui viviamo come, ad esempio, gli alti tassi di povertà o l’alto tasso di criminalità sono elementi che incidono sulla paura della criminalità. Inoltre, elementi di disordine fisico (ad esempio, strade dissestate, mancanza di illuminazione, aree verdi incolte, edifici abbandonati) e di disordine sociale (ad esempio, la presenza di aree di spaccio, la presenza di fenomeni di vandalismo) presenti nei nostri quartieri possono aumentare il nostro senso di insicurezza e di paura. Questi fattori, se presi in considerazione separatamente, non sono sufficienti per cogliere la complessità del fenomeno della paura della criminalità. L’interdipendenza di tutti questi fattori è intrinseca nella natura multidimensionale dell’oggetto di analisi. L’individuo e le sue paure sono per forza di cose influenzate da fattori soggettivi, sociali ed ambientali che vanno considerati in un approccio olistico. Dal punto di vista dell’analisi empirica, ci si è già mossi in questa direzione».
 
Nelle pagine di quotidiani cartacei e online la cronaca nera occupa uno spazio considerevole, spesso anche con approfondimenti in programmi televisivi di varia natura e valore. In che misura i media influenzano la paura della criminalità?
«Le esperienze indirette di vittimizzazione di amici, parenti, conoscenti e le notizie trasmesse dai media intensificano la narrazione criminale aumentando la percezione del rischio. L’esperienza indiretta, quindi, soprattutto se veicolata dai mass media, funge da amplificatore delle esperienze di vittimizzazione di altri, soprattutto se le vittime hanno analoghe caratteristiche sociodemografiche o vivono in contesti simili. Questo è in parte accaduto anche nel caso Ferragni (riferimento alla vittimizzazione di amici, parenti, ed esposizione ai media).
Secondo la letteratura sul tema, esiste una forte associazione positiva tra esposizione ai mass media e paura di subire un reato. La rappresentazione degli eventi fornita dai mezzi di comunicazione influenza e distorce le percezioni degli individui. I media tendono a trasmettere uno sproporzionato numero di notizie relative a crimini violenti che alimentano una costruzione distorta della realtà. La maggior parte delle persone, infatti, viene a conoscenza di episodi di criminalità violenta tramite tv, giornali, social e si basa su queste notizie per formulare una propria visione dell’ambiente circostante. Questo incide negativamente sulle paure e sulle insicurezze degli individui.
La relazione tra media e insicurezza sembra dipendere dal tempo di esposizione ai media, inteso come numero di ore, ad esempio, oppure dal mezzo di comunicazione considerato ed è solitamente una relazione mediata da altre caratteristiche personali come il genere, l’etnia o l’istruzione». 

Uno dei risultati interessanti della ricerca di cui si è occupata è la relazione tra l’uso intenso di social network da parte dei giovani milanesi e l’aumento della paura di subire un reato. Può spiegare meglio questa relazione?
«Considerando la fruizione di contenuti mediatici attraverso internet, va sottolineata l’estrema interattività dello strumento: è infatti possibile scegliere quali notizie consultare con più frequenza e vagliare diverse prospettive rispetto ad un singolo argomento. È al contempo più difficile distinguere quali notizie possano essere considerate affidabili e quali, invece, non lo siano (fake news). Quest’ultima caratteristica, tipica anche dei social media, incide negativamente sul senso di sicurezza. Il crescente utilizzo dei social media ha evidenziato una correlazione positiva tra l’utilizzo di questo strumento e la paura della criminalità, soprattutto nella popolazione più giovane. Inoltre, gli individui tendono a preferire l’esposizione a notizie concordi al proprio pensiero secondo un meccanismo di usi e gratificazioni (uses and gratifications). Con la crescente pervasività dei social media, questo meccanismo assume un’importanza ancora maggiore: gli individui possono crearsi una serie personalizzata di articoli e fonti di informazione, autorevoli e non, in grado di assecondare al meglio le proprie attitudini e le proprie idee. Questo rende lo studio dei social media in relazione alla paura ancora più urgente». 

 

Leggi l'intervista completa su Vita e Pensiero

 

 


Photo by Nicola Fioravanti on Unsplash

Un articolo di

Francesco Bombini

Francesco Bombini

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