Si intitolano “Sviluppo di vettori nanotecnologici per superare il deficit di trasporto di MCT8 nel trattamento della sindrome di Allan-Herndon-Dudley” e “Indagini "Omiche" in combinazione con una valutazione neurocomportamentale e clinica di pazienti con sindrome di Pitt-Hopkins, con lo scopo di definire indicatori dell’efficacia di nuove terapie” i progetti di ricerca, coordinati rispettivamente dal Professor Alessandro Arcovito, Ordinario di Biochimica, e dalla Professoressa Marcella Zollino, Associata di Genetica Medica, finanziati dalla Fondazione Telethon grazie al Bando Fall Seed Grant 2024, - l’iniziativa che sostiene la ricerca sulle malattie genetiche rare in collaborazione con le associazioni di pazienti.
Il progetto condotto dal team di ricerca guidato dal Professor Arcovito, in collaborazione con Wanda Lattanzi, Professoressa Associata di Biologia cellulare e applicata all’Università Cattolica, ha come obiettivo lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche per il trattamento della sindrome di Allan-Herndon-Dudley (AHDS), una malattia “ultra-rara” (<1 caso ogni 50000 nati vivi) del neurosviluppo che colpisce esclusivamente individui di sesso maschile, provocando disabilità intellettiva e gravi disturbi del movimento fin dal suo esordio neonatale. Come molte malattie rare è spesso sotto-diagnosticata, e “orfana” di trattamenti e cure. La maggior parte dei bambini affetti dalla AHDS presentano ipotonia (scarso tono muscolare) e, in generale, uno scarso sviluppo (ipoplasia) della muscolatura e con la crescita sviluppano spesso problemi alle articolazioni che ne limitano ulteriormente le capacità motorie, così come la spasticità e i movimenti involontari di gambe e braccia.
L’AHDS è dovuta a mutazioni del gene SLC16A2 che codifica per una proteina (MCT8) responsabile del trasporto dell’ormone tiroideo triiodotironina (T3) nel cervello. Attualmente non esiste una cura per questa malattia, ma il trattamento si limita a trattamenti sintomatici e di supporto come la fisioterapia, la logopedia e la terapia occupazionale. È possibile trattare la distonia con alcuni farmaci (anticolinergici, L-DOPA, carbamazepina, lioresal) e eventuali crisi epilettiche possono essere controllate con i farmaci antiepilettici standard.
La ricerca, finanziata dall’Associazione di pazienti Una Vita Rara AHDS-MCT8 ONLUS, mira, in particolare, a creare un approccio alternativo per trasportare l’ormone T3 al cervello grazie a piccoli vettori nanotecnologici (nanoparticelle), senza coinvolgere la proteina MCT8. Le nanoparticelle verranno messe a punto in modo da poter trasportare e rilasciare l’ormone T3 nel cervello in maniera sicura ed efficace. Questa strategia potrebbe, in futuro, rappresentare un approccio terapeutico alternativo per le persone affette dalla sindrome di Allan-Herndon-Dudley.
«La possibilità di trovare un bypass molecolare, attraverso lo sviluppo di questo approccio nanotecnologico – spiega il Professor Arcovito - può essere una strategia efficace in questo particolare tipo di sindrome, fornendo un possibile trattamento per questa patologia ultra rara».
Il progetto condotto dal team di ricerca guidato dalla Professoressa Zollino riguarda la sindrome di Pitt-Hopkins (PTHS), un raro disordine del neurosviluppo causato da mutazioni inattivanti di una delle due copie del gene TCF4. Clinicamente, è caratterizzata da una compromissione multisistemica delle funzioni neurologiche, inclusa disabilità intellettiva importante con assenza del linguaggio, disfunzione del sistema nervoso autonomo, con crisi di iperventilazione/apnea e stipsi, epilessia, e alto rischio di autismo.
La ricerca, finanziata dall'Associazione Italiana Sindrome di Pitt-Hopkins – Insieme di più ha come base di partenza un dato fondamentale che è la conoscenza del meccanismo di malattia della tipica PTHS, l’aploinsufficienza (in presenza di mutazione inattivante in una delle due copie del gene TCF4 viene prodotta una proteina normale, ma ridotta al 50% rispetto alla norma). E’ motivata dall’evidenza che esistono alcune possibilità di trattamento per la PTHS: la prima, già in atto in vivo nei pazienti, riguarda l’uso di farmaci sicuri, come IGF1, che agiscono indirettamente sui meccanismi molecolari complessi di malattia, per il quale si è già dimostrato un sensibile miglioramento delle problematiche neurocomportamentali; la seconda, attualmente in fase di sperimentazione in vitro su neuroni derivati da cellule staminali riprogrammate da pazienti PTHS, è basata su approcci di terapia genica, volti ad aumentare l’attività della copia normale del gene e correggere almeno in parte l’aploinsufficienza.
Lo studio ha lo scopo di verificare quali parametri, clinici e molecolari, sono in grado di validare l’efficacia di qualsiasi nuova terapia, e di definire dei biomarcatori, attraverso studi di episignature (metilazione dell’intero genoma) di trascrittomica (analisi dei trascritti di tutti i geni) e di proteomica (analisi di tutte le proteine). Le stesse procedure cliniche e molecolari potranno anche essere strumenti per la valutazione prognostica individuale dei pazienti: la gravità della presentazione clinica è diversa, riflette il tipo di difetto genetico.
«La possibilità di trattamento di disordini gravi del neurosviluppo, che non possono abolire il problema, ma migliorare le anomalie comportamentali, le capacità di memoria e di comunicazione, è già una realtà attuale per alcuni di essi – afferma la Professoressa Zollino - C’è bisogno estremo di individuare biomarcatori molecolari e affidabili parametri clinici in grado di valutare l’efficacia di nuove terapie».