«Se non abbiamo l’umiltà di vedere la diversità tra i giornalisti e la macchina, il problema è dei giornalisti». La questione è tornare a fare qualcosa di assoluta qualità, perché l’informazione rischia di cadere nelle mani dei creator che, con l’aiuto dell’AI, usata come un «oracolo», prendono una mole di contenuti e tirano fuori le informazioni che fanno vendere di più.
Il rischio, come rileva Maternini, è di affidarsi a macchine come Chat Gpt, che si allenano leggendo milioni di testi, e non essere più capaci di fare a meno di loro.
Ma queste «non sono la risposta giusta perché non hanno un pensiero critico e una morale». Su questi risvolti si è mossa l’Unione europea («acqua tiepida il suo approccio») e anche l’Italia sta ragionando di soluzioni che hanno a che fare con logiche mondiali. «Riflessioni tanto affascinanti, quanto deboli», come emerge nella proposta di decreto-legge sia per il tema del diritto d’autore che della protezione dei minori dai contenuti nocivi.
Per Maternini o si segue la strada della Cina, che ha statalizzato tutto, controllando tutti gli algoritmi, o si prova a dare regole al sistema, lavorando sui codici tecnologici e sulla responsabilità di chi li crea, «tornando a educare la persona all’importanza etica del proprio lavoro». È quello che Paolo Benanti, il religioso messo a capo della Commissione intelligenza artificiale per l’informazione, ha definito “Algoretica”.
Per Rancilio significa soprattutto evitare le scorciatoie che cercano di sostituire i giornalisti con l’intelligenza artificiale, di cui potrebbe approfittare qualche editore.
«Avremo sempre più bisogno di giornalismo» conclude, capace di valorizzare, oltre che le carte deontologiche, anche il valore dell’onestà professionale.