Due dati emergono dal report “Appartenenze multiple. Il fenomeno migratorio in Emilia-Romagna e il turismo delle radici”, redatto dal gruppo di lavoro dell’Università Cattolica, a cura di Silvia Magistrali, Davide Marchettini e Paolo Rizzi. Il primo: a Piacenza i trasferimenti di residenza all’estero sono in leggero calo dopo anni di crescita. Il secondo: il turismo delle radici, quello di figli e nipoti che tornano nei luoghi da cui sono partiti i propri avi, è un turismo di cui beneficia anche l’economia. I ricercatori dell’Ateneo l’hanno quantificato in circa 4,5 milioni di euro all’anno. A tanto ammonterebbe l’introito per le valli piacentine (Val Nure, Val Trebbia, Valdarda) grazie ai turisti di ritorno, che si fermano in media 19 giorni, tornano con frequenza nei luoghi d’origine, dove spendono - sempre mediamente - circa 2mila euro.
Il report è stato presentato all’auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, nell’ambito del convegno dal titolo “Emigrazione e turismo delle radici” organizzato dell’associazione “Piacentini nel mondo” proprio in collaborazione con l’Università Cattolica.
A Piacenza, in venti anni, il numero di coloro che hanno cancellato la propria residenza è passato da 99 nel 2002 ad oltre 900 nel 2021 (+562%), benché nel 2023 il numero sia minore, attestandosi a 734 persone. «Si tratta di un piccolo calo dopo anni di crescita» commenta Paolo Rizzi, docente della Cattolica e coordinatore del report, il quale invita a considerare che «contrariamente al passato, quando si partiva soprattutto da regioni del Mezzogiorno e più povere, oggi i trasferimenti sono un fenomeno che tocca le regioni ricche del Nord».
Attualmente sono infatti i territori più sviluppati economicamente a generare i maggiori trasferimenti verso l’estero, sono cittadini legati al desiderio di migliorare la propria condizione lavorativa o ricercare offerte formative più qualificate e specializzate.
Il dato in leggero calo non intacca comunque il saldo migratorio, ossia la differenza tra il numero di persone che entrano (immigrati) e il numero di persone che escono (emigrati). A Piacenza resta di gran lunga a favore dei primi. L’andamento raggiunge un punto basso nel 2015, a cui segue una ripresa che culmina nel 2017 con un 2,9% su mille abitanti, ridiscendendo quindi fino all’1,66% del 2020, che rappresenta il valore più basso per Piacenza, raggiungendo infine il valore massimo dell’intero decennio analizzato nel 2023, ovvero il 4,4%, quando l’Emilia-Romagna si ferma al 3% e l’Italia al 2,77%.
Dallo studio emerge inoltre con forza anche l’importanza del turismo delle radici, che definisce quel tipo di turismo mosso dall’esigenza di riscoprire o tenere saldo il radicamento alle radici, geografiche e culturali, della propria storia e che ha per protagonisti i figli e i nipoti di emigrati. Lo studio dice che questi turisti tornano con frequenza, anche tre o quattro volte (28%) o addirittura cinque o sei (11%), e si fermano nelle nostre valli in media 19 giorni, spendendo, sempre in media, 2mila euro.
Ma qual è il profilo di questi turisti? «Potremmo quasi chiamarli doppi cittadini - afferma Rizzi - che si sentono sia italiani sia cittadini del Paese dove vivono, cantano entrambi gli inni, qualcuno tifa Italia e qualcuno ad esempio Francia. Vedono nell’Italia una buona qualità della vita, ne amano il paesaggio, ma preferiscono ancora il loro Paese per il lavoro».
Si tratta di un turismo delle emozioni. Anche per questo, durante la giornata moderata dalla giornalista di Libertà Paola Romanini e introdotta da Patrizia Bernelich, presidente dell’associazione “Piacentini nel mondo”, sono stati presentati due progetti: “La pasta in valigia”, illustrato dalla bibliotecaria della Passerini Landi, Daniela Morsia, e “La cucina delle radici: fenomeno migratorio nel Piacentino, aspetti gastronomici e culturali”, realizzato da due classi dell’Istituto alberghiero del campus Raineri Marcora, grazie alla professoressa Barbara Galli.