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Desiderio, cura e legge: la Bibbia nella prospettiva psicoanalitica di Massimo Recalcati

16 maggio 2025

Desiderio, cura e legge: la Bibbia nella prospettiva psicoanalitica di Massimo Recalcati

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È per antonomasia il libro dei libri: il più letto, il più tradotto, il più venduto al mondo. La Bibbia con le sue storie, le sue immagini, i suoi miti ha nutrito simbolicamente il pensiero e la cultura dell’Occidente. Tant’è che arte, musica, letteratura sarebbero incomprensibili senza questa eredità che le ha profondamente influenzate. Lo stesso si può dire anche per la psicoanalisi? Accanto alle sue radici più consolidate, quelle della mitologia greca, esiste un terreno su cui si radica l’esperienza psicoanalitica? Massimo Recalcati, nei suoi due libri pubblicati da Einaudi: “La legge della parola” e “La legge del desiderio”, una sorta di «dittico», come lui stesso l’ha definito, esplora il rapporto della psicoanalisi rispettivamente con la Bibbia ebraica, nel primo, e con i Vangeli, nel secondo, tracciando un filo rosso che ha anche legato gli ultimi due appuntamenti della Scuola di lettura di Vita e Pensiero.

L’iniziativa, promossa dalla casa editrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con la Facoltà di Lettere e filosofia, si è conclusa ospitando lo psicoanalista milanese negli ultimi due incontri del 5 e 12 maggio, intitolati “La legge e il desiderio” e “Il gesto della cura” e incentrati su una profonda e interessante riflessione proprio a partire dalla lezione biblica. «Sono tematiche che si scrivono nel solco di quell’interesse per quegli aspetti dell’umano che Recalcati ha avuto l’indubbio merito di riproporre con grande efficacia alla ribalta della comunicazione pubblica, tendenzialmente distratta a proposito del fondamento che abita l’essere umano», ha spiegato Aurelio Mottola, direttore di Vita e Pensiero, introducendo entrambi gli eventi. Una lettura delle Scritture ebraico-cristiane che, ha ricordato Mottola, non vuol essere religiosa né esegetico-teologica. Si tratta, piuttosto, di una prospettiva che intende scorgere le radici bibliche della psicoanalisi, così come recita il sottotitolo dei libri.

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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Del resto, si sa – ha esordito Recalcati – che la tragedia greca e i suoi personaggi sono fondamentali per il sapere psicoanalitico. Si pensi all’Edipo di Sofocle, ma anche a Elettra, Antigone, considerando lo straordinario lavoro che Lacan fa su questa figura, o a Telemaco. Il principale «riferimento mitologico» della psicoanalisi è il mondo greco.

Eppure, la psicoanalisi «parla anche la lingua della Bibbia». Desiderio e legge, ha osservato Recalcati, sono due termini «capitali» in questo senso. Siamo abituati a pensarli contrapposti e, per certi versi, il Primo Testamento, fin dal nucleo della Torah, ne ribadisce la contrapposizione: tende infatti a concepire la legge di Mosè come opposta al movimento dinamico e strutturalmente trasgressivo del desiderio. «La legge mosaica, riletta da Paolo, impone alla forma umana della vita un imperativo fondamentale: non desiderare», ha aggiunto lo psicoanalista.

Da questo punto di vista, la legge si rivelerebbe fondamentalmente come un potere di interdizione, di limitazione, di negativizzazione della vita. In realtà, nel testo biblico, la legge non ha mai il fine di comprimere, mortificare, schiacciare la vitalità della vita, nemmeno nella formulazione mosaica. Al contrario, secondo Mosè, il suo scopo è iscrivere il «non tutto nel cuore dell’umano». In fondo, già nella Torah, il peccato dei peccati, la follia più grande dell’umano è l’aspirazione a essere tutto. Un tema, questo, ha avvertito Recalcati, tipico del nostro tempo. «La guerra, la minaccia nucleare, la riduzione del pianeta a pura risorsa da sfruttare segnano un allontanamento dell’uomo dal compito assegnatogli da Dio di essere custode della terra e di portare con sé il senso della legge come senso del non tutto».  

Non a caso, nel suo magistero Gesù ribadisce che il problema «non è abolire la legge, ma portarla a compimento». Questo significa «che il non tutto non è l’esperienza del flagello di Dio che annienta la vita, ma la sua iscrizione nel cuore dell’uomo, ciò che rende possibile il desiderio come manifestazione della vita viva e capace di vita».

Ecco, dunque, il cuore della questione: «Gesù non è venuto a portare la legge, ma è venuto a portare la vita, a far divampare il fuoco sulla terra, a chiederci di aderire alla vita e alla legge del desiderio come manifestazione piena della vita», ha sintetizzato Recalcati.

L’idea di legge proposta da Gesù oltrepassa le due rappresentazioni canoniche del desiderio: quella greca, che lo concepisce come una maledizione nata da una mancanza, da una privazione, da una negatività; quella vetero-testamentaria, che lo interpreta in chiave nichilistica, come una ripetizione dell’insoddisfazione. Per Gesù, infatti, desiderio e legge non sono in una «relazione conflittuale». Nella sua visione, il desiderio non è una maledizione né è un’afflizione. E la legge, a sua volta, trova il compimento proprio nell’amore e nei gesti di cura.


Ma la prospettiva di Gesù, per Recalcati, compie un ulteriore passo in avanti rispetto al grido di Qohelet, che descrive l’essere umano non solo come luce, bellezza e splendore, ma anche come polvere destinato a tornare alla polvere, paragonando in tal modo la vita all’erba che germoglia la mattina e appassisce alla sera.

Gesù, infatti, offre una risposta all’«angoscia del divenire» e all’«ossessione per la morte». Una risposta che si traduce in due immagini che testimoniano la dimensione anti-utopica del cristianesimo: il giglio nel campo e l’uccello nel cielo. Entrambi sono accomunati dall’assenza di preoccupazione per il domani. E, come afferma Giovanni, vivono nel tempo dove l’ora è adesso, è l’ora del regno. Una concezione che rivela un tratto essenziale, ossia che la gioia non un’esperienza riservata a un altro mondo, ma appartiene al presente. “Questo è il giorno della salvezza”, si legge nella seconda Lettera ai Corinzi.

Gesù ci indica altri «gesti di cura» per liberare l’uomo dalla paura della vita. Sono i miracoli, che rimandano sempre a quella domanda fondamentale che ogni psicoanalista si pone all’inizio di una terapia: “Che cosa abbiamo qua?”. Emblemi di questi gesti di cura, e dunque della messa in forma della legge del desiderio, sono i miracoli delle nozze di Cana e della moltiplicazione dei pani e dei pesci.  

Il primo miracolo, che consiste in una conversione finalizzata a far continuare la festa, mostra con evidenza la «potenza generativa della legge del desiderio» capace di trasformare l’acqua putrida - che siamo noi - in vino sublime. In altre parole, ha dichiarato Recalcati citando Lacan, «è dal peggio che nascono le cose buone». Ma affinché questo avvenga, «bisogna fare amicizia con il peggio, senza pensare di purificarlo sottomettendolo alla legge». Se la vera posta in gioco è pensare la «vita come viva, accesa, capace di generare frutti», allora dobbiamo correggere la rappresentazione secondo cui, da una parte, esiste la legge, dall’altra, il desiderio. «L’uomo, in quanto animato da pulsioni, non è fatto per la legge». Il nocciolo della questione sta invece nell’essere con la legge, nel senso di «credere nella legge del desiderio come potenza affermativa, generativa in grado di trasformare l’acqua putrida in vino sublime». O anche di moltiplicare i pani e i pesci. Il miracolo, infatti, non risiede nel «gesto di prestigio», ma nella fede nella «forza del desiderio», in quell’incommensurabile, quell’incalcolabile, che tutti noi abbiamo perso di vista ma che ancora ci fa credere nella possibilità della conversione e della moltiplicazione. E che, in fin dei conti, è la stessa fede che muove gli psicoanalisti, i quali non possono non credere ai miracoli se non vogliono cambiare lavoro, poiché è solo dalle «cause perse che si può estrarre il vino sublime».

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