L’imprenditività italiana è ancora un fenomeno pulsante o sta perdendo slancio? Cosa alimenta l’iniziativa o, viceversa, la depotenzia? Esiste un’avanguardia capace di riattualizzare e rilanciare il segno che resta?
Questa la domanda di fondo del Rapporto Italia Generativa 2024 (consultabile nella sua versione integrale a questo link) curato dal Centre for the Anthropology of Religion and Generative Studies (ARC) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, promosso da Fondazione Poetica per la Generatività Sociale e presentato l'8 aprile a Roma nella sede di Unioncamere che ha collaborato alla sua realizzazione.
Rapporto Italia Generativa 2024 - Versione Integrale
Il lavoro di ricerca è stato introdotto da Andrea Prete, Presidente di Unioncamere, ed approfondito da Mauro Magatti, economista e sociologo, e Patrizia Cappelletti, ricercatrice del Centro di Ricerca ARC.
A seguire, una tavola rotonda sui principali temi sollevati dal Rapporto, a cui sono intervenuti Carlo Borgomeo, Presidente di Assaeroporti; Gaetano Fausto Esposito, Direttore del Centro Studi Guglielmo Tagliacarne; Marcella Mallen, Presidente di Prioritalia; Antonella Polimeni, Rettrice dell’Università Sapienza; Massimiliano Valerii, Direttore Generale del Censis.
Giro di boa
Al giro di boa di trasformazioni epocali che stanno ridisegnando gli scenari dell’intrapresa, il Rapporto Italia Generativa 2024 ricostruisce alcune delle dinamiche di fondo dell’imprenditività italiana, in una prospettiva comparata con il panorama europeo, con l’obiettivo di interrogarsi attorno al suo futuro.
Il capitalismo italiano possiede elementi unici e distintivi, che vanno riscoperti e declinati in chiave contemporanea: l’umanesimo operativo, la creatività sistemica, il glocalismo virtuoso, la resilienza generativa.
La vera questione dell’impresa italiana non è la dimensione – piccola o grande – ma l’incapacità di tradurre oggi questi valori in modelli organizzativi scalabili e in ecosistemi qualificati, senza perdere la sua natura originaria.
La doppia transizione digitale e generazionale costituisce per il nostro Paese un passaggio da gestire con attenzione: su un fronte, integrando il digitale come abilitatore, piuttosto che come sostituto numerico dell'umano; sull’altro, investire nel ricambio generazionale preservando, riattualizzandola, la memoria d’impresa.
Fondamentale, in questa transizione, sarà la capacità di affrontare alcune questioni di fondo che appaiono in questo momento storico di assoluta necessità: un nuovo patto formazione-impresa per coltivare competenze ibride (tecnico-umanistiche); ecosistemi regionali come laboratori di sperimentazione glocal; una finanza paziente che premi l’originalità sulla standardizzazione.
L’Italia può scrivere un capitolo inedito: dimostrare che produrre valore economico non è antitetico a creare bellezza e che efficienza numerica e human touch possono coesistere.
Questa non è utopia: è l’unico realismo possibile per un Paese che vuole sfuggire al declino senza tradire sé stesso.