NEWS | Charity Work Program

Uganda, uno stato dell’anima

31 luglio 2025

Uganda, uno stato dell’anima

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Il treno che attraversa luoghi inimmaginati, le capre sui binari, il sapore del tronchetto di canna da zucchero, l’alba, la terra rossa di un colore mai visto prima, i bambini che ti corrono incontro col sorriso, la bellezza della condivisione. Per Fabio Ravanelli e Andrea Munari l’Africa non è più soltanto un continente fatto di immagini di bei paesaggi e di animali. Per loro, che hanno scelto di partire per l’Uganda con il Charity Work Program promosso dal CeSi, aperto dallo scorso anno al personale tecnico amministrativo dell’Ateneo, l’Africa è ora soprattutto il simbolo dell’accoglienza.

«Avevo un'enorme curiosità per ciò che avrei potuto scoprire in un paese così lontano - racconta Andrea - giorno dopo giorno, ho iniziato a sentirmi sempre più a casa». Così è stato per Fabio: «hai l’opportunità di vivere l’incanto di quei luoghi ma soprattutto la gioia di stare insieme alla gente».

Ospiti della Fondazione Italia – Uganda, Andrea e Fabio hanno svolto attività tra le più varie: l’inventario di un grande capannone, visite di monitoraggio delle scuole con cui collabora la Fondazione Italia-Uganda, una giornata di pulizia di uno slum e la sistemazione dell’impianto di irrigazione dell’orto presente all’interno degli spazi della Fondazione.

La missione della Fondazione, che continua l’opera di padre Giovanni “John” Scalabrini, missionario italiano che ha dedicato oltre 50 anni al sostegno del popolo ugandese, è quella di creare comunità forti, responsabili e autonome in Uganda, attraverso l’educazione, la salute, la formazione professionale e il lavoro.

«Ho iniziato offrendo supporto all’attività contabile, che è la mia area di competenza – racconta Andrea – successivamente, ho partecipato a corsi di formazione sulle pratiche necessarie per creare e mantenere un orto urbano». «Insegnano a coltivare un orto in casa perché, se non lo fai, non mangi. Io invece lo faccio per piacere, per loro è una necessità»

«Abbiamo dato una mano non solo nel nostro ambito – aggiunge Fabio - ma anche come aiuto idraulici, falegnami, magazzinieri, giardinieri e operatori ecologici». «Ci è voluto un po’ per convincere Justin e Isaac dell’Operation Office a lasciarci fare l’inventario del capannone – raccontano – non volevano che ci impolverassimo. Ma noi siamo qui per dare una mano, non abbiamo paura di sporcarci».

Un articolo di

Valentina Stefani

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«La disponibilità e la predisposizione all'ospitalità che abbiamo trovato sono semplicemente indescrivibili» – dice Andrea – «la bellezza – aggiunge Fabio - sta nel provare a entrare nel loro mondo: seguirne i riti, scoprirne la quotidianità, cercare di conoscerli davvero. E magari offrire una mano con piccoli gesti, o anche solo con un sorriso».

«Mentre svolgono le loro attività, le persone cantano, ballano, pregano e ti accolgono con calore. C’è una ricchezza umana immensa — racconta Andrea — che ti fa sentire quasi in difficoltà, perché tu hai tutto, ma non hai lo stesso entusiasmo e approccio alla vita».

Moltissime persone vivono in estrema povertà, le strutture sono fatiscenti, le case assomigliano a delle baracche, i servizi igienici sono all’esterno delle abitazioni, non tutti i bambini possono frequentare la scuola e assicurarsi un pasto al giorno. 

«Ciò che mi ha lasciato un segno profondo — dice Andrea — è stato vedere con i miei occhi la dedizione di chi lavora nella Fondazione: persone che ogni giorno si impegnano per migliorare la vita dei più fragili, come i bambini con disabilità accolti nell’orfanotrofio di Suor Lucy».

Durante la permanenza in Uganda non sono mancati momenti di svago. «Eravamo insieme ad alcune studentesse di Medicina e si è creato un bel gruppo — raccontano — con loro abbiamo visitato Kampala, fatto un Safari, cenato al Marriott e passato una serata in discoteca. È stato bello condividere anche il tempo libero».

«È un’esperienza che tutti dovrebbero fare, ci ho lasciato un pezzo di cuore, vorrei tornare con mia figlia» – dice Andrea –. «L’Uganda – conclude Fabio – è diventata per noi uno “stato dell’anima”, l’emozione di un tramonto diverso e un’alba che forse ci ha aiutato a re-imparare a essere felici di niente o con poco».

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