«La realtà dell’ospedale è dura – prosegue Diana – ci si confronta con bisogni urgenti e malattie che nel mondo occidentale sembrano lontane, quasi dimenticate, un’ustione può essere fatale, la malaria è ancora un pericolo reale e, a volte, il ricorso allo stregone – profondamente radicato nella cultura locale – può compromettere cure che sarebbero invece salvavita. A Kikio, una giovane madre mi ha messo in braccio la sua neonata di tre settimane, nel villaggio si crede che i visitatori siano di buon auspicio e, con quel gesto, mi ha trasmesso una fiducia spontanea e autentica. Ho percepito una grande generosità, quella che si esprime non con grandi parole, ma con gesti concreti, anche nella semplicità del quotidiano».
Anche un piccolissimo contributo può avere un impatto significativo nella vita delle persone. «Ho imparato non solo a prestare supporto pratico – racconta Manuela – ma anche a comprendere le sfide culturali e sociali che le comunità locali affrontano, le mie aspettative si sono trasformate in un profondo rispetto per il lavoro degli operatori locali e una maggiore consapevolezza dell’importanza della solidarietà».
«È stata una rivelazione – aggiunge Diana – l’esperienza vissuta mi ha fatto capire quanto spesso diamo per scontate le cose nella nostra quotidianità, dimenticando di essere grati per ciò che abbiamo. È stato un invito a fermarmi e riflettere su ciò che conta davvero. Spesso ci lasciamo travolgere da preoccupazioni inutili, da un senso di urgenza che non ha fondamento. In Tanzania ho riscoperto l’importanza di procedere con metodo e determinazione, senza frenesia. ‘Pole pole’, dicono in swahili – ‘adagio adagio’ – e non è un incoraggiamento alla lentezza – conclude – ma alla consapevolezza di ogni passo».
«Fatelo – dicono a chi sta pensando di partecipare al Charity Work Program – non cambierete il mondo ma tornerete con la consapevolezza che, anche solo per un breve periodo, avete fatto qualcosa di concreto per qualcuno. E questo vale più di mille parole».