Il 31 ottobre 2013 era un giovedì e, nell’Aula Magna della sede di Brescia, l’8^ edizione di Letteratura & Teatro inaugurava avendo come ospite e relatore un giovane e promettente attore di teatro, insignito solo due anni prima dell’importante Premio Ubu.
Lui era Luca Micheletti (invitato a discutere sulla metamorfosi di Kafka, tema al quale all’epoca lavorava per una produzione per il CTB) che, oggi sappiamo, nel 2015 avrebbe ricevuto un altro prestigiosissimo riconoscimento, il Premio internazionale Luigi Pirandello.
Si sarebbe inoltre affermato tra gli interpreti di spicco nel mondo della prosa, affiancando parallelamente l’attività di Baritono - scoperto artisticamente da moglie del Maestro Riccardo Muti - collezionando anche in quell’ambito sold out nei teatri di tutto il mondo, dalla Metropolitan Opera House di New York, al Covent Garden di Londra, dall’Opera House di Sidney, Teatro alla Scala di Milano.
Dodici anni dopo, giovedì 13 novembre 2025, l’Aula è la medesima, il pubblico numeroso e attento e Letteratura & Teatro ha nel frattempo tagliato il grande traguardo della ventesima edizione.
Il Micheletti di oggi, attore teatrale, regista, baritono e studioso di fama internazionale ha accolto l’invito della professoressa Lucia Mor per dare vita alla conferenza–conversazione “Invenzioni, scritture, metamorfosi. Dalla pagina alla scena”.
Un viaggio attraverso le molteplici trasformazioni della parola letteraria nel passaggio dalla scrittura alla rappresentazione in scena, esplorando il dialogo tra invenzione autoriale e interpretazione scenica.
Il termine metamorfosi, chiave dell’incontro, è tornato a risuonare con forza, mostrando come la trasformazione scenica possa essere un ponte fra letteratura e società.
Bresciano di nascita, proveniente da un’importante famiglia che da più di un secolo lavora nel mondo del teatro (lui iniziò a calcare la scena a soli 4 anni) Micheletti ha parlato del passaggio dalla pagina alla scena come processo che conferisce “tridimensionalità”.
«Dotiamo qualcosa di piatto di una dimensione in più. La letteratura è qualcosa di orizzontale, un avanzare progressivo, immaginario o immaginifico. Sbalzare i personaggi sul palcoscenico, significa donare concretezza alla potenzialità pragmatica del testo. Verticalizzare la letteratura».
La profondità data dalla terza dimensione è lo spazio in cui l’attore rischia di smarrirsi, schiacciato da un “io” che nel Novecento – ha ricordato Micheletti – ha preso il sopravvento sulla funzione originaria della parola: «La letteratura era in passato al servizio del potere; dal Novecento si è resa schiava dell’io. L’attore si trova a suo agio nel viaggio interiore, ma rischia di diventare autoreferenziale».
Da baritono e interprete raffinato, Micheletti non ha mancato di riflettere sul rapporto tra parola e vocalità. «La parola è meno rilevante di come viene pronunciata. Il cantante deve dare senso alle parole, ma il senso musicale arriverà prima allo spettatore».
Il pubblico ha potuto ascoltare una dimostrazione diretta quando l’artista ha proposto un passo dal “Medico controvoglia” di Molière.
Significativo anche il riferimento alla vicenda umana di Molière, «sepolto in terra sconsacrata, di notte», testimonianza di una lunga tradizione che ha relegato il teatro ai margini della vita civile.
Una condizione contro cui Micheletti rivendica l’urgenza di un approccio responsabile: «Cerco di far coincidere il mestiere e il ruolo sociale con un approccio umile e consapevole, attraverso lo studio».