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La laurea, una bussola nell’era delle transizioni

26 giugno 2025

La laurea, una bussola nell’era delle transizioni

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Il valore della laurea, il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, le politiche di inclusione nelle aziende. Sono questi i temi sui quali l’Università Cattolica del Sacro Cuore ha portato il proprio contributo di riflessione all’evento Persone&Talenti, promosso dal Corriere della Sera. Svoltosi il 18 e il 19 giugno, nella cornice ottocentesca della Società d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri, l’iniziativa è stata l’occasione per riunire esponenti di primo piano del mondo accademico, della formazione, delle imprese e delle istituzioni.

A che cosa serve una laurea in un mondo fluido, nell’epoca delle conoscenze “fai da te”, quando il sapere sembra raggiungibile dalla punta delle dita, accessibile attraverso dispositivi sempre più piccoli e potenti? E, più che altro, serve ancora? Serve davvero?

È la domanda posta alle rettrici e ai rettori di quattro atenei milanesi – Francesco Billari (Università Bocconi), Anna Maria Fellegara (prorettrice vicaria dell’Università Cattolica), Valentina Garavaglia (IULM) e Donatella Sciuto (Politecnico di Milano) – all’apertura delle due giornate di talk e workshop.

Un interrogativo – sollevato dal vicedirettore Daniele Manca e dal caporedattore dell’Economia Nicola Saldutti – usato come esca per far emergere altri temi cruciali: l’evoluzione del sistema universitario, il rapporto tra le discipline, il confronto con le nuove generazioni.

«La laurea serve, ma soprattutto serve l’università, perché insegna a formarsi continuamente. Una capacità decisiva, soprattutto per chi lavora con la tecnologia, dove non si smette mai di aggiornarsi», ha risposto Donatella Sciuto.

Un punto condiviso da Valentina Garavaglia, che ha sottolineato come la laurea offra «profondità di pensiero» e rappresenti la base per uno sguardo lungo sul proprio percorso professionale: «Può anche non servire, se la destinazione è vicina. Ma se si vuole andare più lontano, la laurea dà l’abbrivio necessario».

Di pensiero critico e senso civico ha parlato Anna Maria Fellegara: «La laurea è centrale, non tanto per il titolo in sé, ma per il processo che implica. Una comunità educante come l’università insegna a mettere in discussione i punti di vista, a lasciarsi interrogare, anche dalle domande scomode. Nessun percorso di apprendimento individuale può farlo». Inoltre, ha aggiunto: «L’università trasmette il senso della responsabilità legato al sapere condiviso, indispensabile per chi ambisce a diventare classe dirigente – che si tratti di guidare un’azienda, uno studio professionale, una scuola o semplicemente la propria vita».

Francesco Billari ha spostato l’attenzione sul contesto italiano: «Siamo sotto il 30% di laureati, contro il 50% dei Paesi più avanzati dell’Ocse. In Corea e Giappone si arriva al 60%. Eppure, i dati parlano chiaro: anche in Italia l’83% dei laureati trova lavoro, contro il 73% dei diplomati. Studiare aumenta le opportunità individuali e collettivamente serve ad accrescere la competitività di un Paese».

Il punto, dunque, non è tanto se serva o meno la laurea, ma se le università riescano a stare al passo con l’innovazione. Un tema urgente per l’Italia, dove il disallineamento tra formazione e mercato del lavoro costa 44 miliardi, come ha ricordato Nicola Saldutti. E dove, ha sottolineato Daniele Manca, spesso si fa fatica ad allocare bene le risorse.

«Comprendere le richieste future della società mentre si preparano i professionisti che il mercato vuole oggi non è solo una sfida di questi tempi, ma è sempre stato il problema delle istituzioni universitarie», ha osservato Anna Maria Fellegara. «Per affrontarlo serve una comunità scientifica integrata, capace di dialogare e interrogarsi. E questo è un punto di forza del sistema italiano».

Secondo Donatella Sciuto, una delle chiavi è la «contaminazione tra le discipline», fondamentale per affrontare sfide complesse come la transizione digitale e verde o l’intelligenza artificiale.

Durante la tavola rotonda c’è stato spazio anche per riflettere sui giovani. Valentina Garavaglia li vede meno decisi rispetto al passato: «Partecipano all’open day per un corso in comunicazione, ma allo stesso tempo stanno considerando Veterinaria. Entrano per esplorare diverse possibilità».

Una dinamica in parte legata al carattere generalista della scuola italiana. Francesco Billari ha ricordato che i tre quarti degli iscritti all’università provengono dai licei, dove però non si insegnano materie come economia o diritto – eppure sono proprio queste le discipline accademiche più frequentate.

Tuttavia, questa apparente indecisione può anche rivelare un’esigenza di maggiore flessibilità. «A me questi ragazzi piacciono moltissimo – ha affermato Anna Maria Fellegara –. Forse non hanno già deciso tutto, ma hanno imboccato un primo bivio importante: tra lavoro e studio, hanno scelto lo studio. Poi costruiscono sartorialmente le loro competenze. È fondamentale dire loro che si può sbagliare: un errore si può correggere. La bussola dell’orientamento si deve poter consultare non solo all’inizio del viaggio, ma anche durante il tragitto».

La riflessione è continuata con una serie di tavole rotonde e laboratori alle quali hanno partecipato docenti dell’Università Cattolica. Del mismatching tra domanda e offerta di lavoro, mercoledì 18 giugno ha parlato Ivana Pais, professoressa di Sociologia economica. «Negli ultimi anni il mercato del lavoro è cambiato: se in passato il problema principale era la disoccupazione, oggi invece preoccupa il disallineamento tra le richieste delle aziende e le disponibilità dei lavoratori – ha detto –. Questo sta determinando una crescente attenzione verso modelli di organizzazione del lavoro che si costruiscono intorno alle competenze dei lavoratori. Questi modelli valorizzano le risorse disponibili, anziché cercare di colmare le lacune; si concentrano su ciò che c’è e non su ciò che manca; si fondano sulla diversità, anziché trovare il modo di includere le differenze in un modello standard».


Sulle politiche di diversity & inclusion è intervenuta, giovedì 19 giugno, Claudia Manzi, professoressa di Psicologia sociale, dialogando con Gianmatteo Manghi, amministratore delegato di Cisco Italia. «Sarà impossibile prescindere dalle politiche D&I per le organizzazioni in futuro, poiché i cambiamenti socio-demografici del nostro Paese ci fanno prevedere che nei prossimi anni la forza lavoro in Italia sarà sempre più marcata da diversità in termini di appartenenze socio-demografiche, di genere, d’età e d’etnia – ha osservato –. D’altra parte, non possiamo ignorare che queste stesse politiche abbiano provocato una sorta di reazione allergica, a volte molto violenta, come sta accadendo negli Stati Uniti. La ricerca si è interrogata su questo. Occorre progettare in maniera coerente e autentica questo tipo di programmazione, evitando programmi con tante iniziative luccicanti ma con poca sostanza».

Franca Cantoni, docente di Organizzazione aziendale e Gestione delle risorse umane, ha infine tenuto un apprezzato workshop su come utilizzare la realtà aumentata per valutare le soft skill.

Un articolo di

Francesco Chiavarini

Francesco Chiavarini

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