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Oltre la pena: il cammino verso un volto più umano della giustizia

23 maggio 2025

Oltre la pena: il cammino verso un volto più umano della giustizia

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L’incubo giudiziario di Marco Sorbara inizia nel gennaio 2019, quando l’ex giocatore di hockey su ghiaccio in Serie A, affermato commercialista e figura politica di spicco in Valle d’Aosta viene improvvisamente travolto da un’accusa gravissima che gli costerà 909 giorni di carcere in custodia cautelare, di cui 45 in isolamento. Tre anni di profonda sofferenza e ingiustizia che si concluderanno con un’assoluzione piena, che sancirà l’assoluta estraneità di Sorbara ai fatti contestati.

È la storia cui è stato dedicato l’incontro Oltre la pena. La speranza di una giustizia ritrovata, tenutosi mercoledì 21 maggio presso il Collegio Augustinianum, un dialogo su giustizia e perdono tra Marco Sorbara, la professoressa Elena Marta, presidente di EDUCatt, Matteo Dominidiato, direttore del collegio Augustinianum, e il giornalista di Avvenire Giorgio Paolucci.

«Chi era vicino a me aveva voglia di vendetta nei confronti di chi mi ha rovinato la vita – ha raccontato Sorbara in un’intervista telefonica – tutti si credono vittime, anche coloro che sono considerati colpevoli dalla giustizia. Ma può capitare che sia la vittima a mettersi in gioco, cercando un dialogo con il proprio carnefice; ecco, lì può cambiare qualcosa». È l’atteggiamento di chi crede nella “giustizia riparativa” – che in Università Cattolica ha una esperta a livello internazionale nella professoressa Claudia Mazzucato – il cui fine non è tanto punire il colpevole quanto ricomporre il legame sociale spezzato dal reato, dando voce e dignità anche alle vittime e offrendo spazio alla responsabilità e al perdono. «Quella di Marco Sorbara è la storia di un’ingiustizia di fronte alla quale la scelta è stata ricostruire un legame, riconfermando il valore della convivenza sociale», ha chiosato l’incontro la professoressa Marta, sottolineando l’importanza del perdono come atto vitale che dà senso a un’ingiustizia subita.


Marco Sorbara si fa portavoce di questa visione anche attraverso una “gabbia mobile” progettata per riprodurre, dalle dimensioni alle scritte sui muri riscritte a memoria, la cella in cui è stato costretto in isolamento per 45 giorni e dalla quale racconta, in giro per l’Italia, la sua storia e l’importanza di una giustizia che curi e che abbia un volto più umano, più profondo, più comunitario.

In quella stessa gabbia sono stati invitati a entrare i ragazzi che hanno preso parte all’incontro che è stato prima di tutto occasione di ascolto e dialogo sulla natura della giustizia, vista non solo come un insieme di norme giuridiche ma anche luogo in cui prendono forma relazioni e responsabilità individuali.

Un articolo di

Martina Vodola

Martina Vodola

EDUCatt

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