L’importanza delle espressioni corporee e dell’influenza che queste possono esercitare sulla personalità è stata oggetto dell’intervento della professoressa di Biochimica, direttrice del Centro di ricerca CriBeNS dell’Università Cattolica Daniela Tavian, che si è concentrata sul ruolo dei neuroni specchio nel mondo dello sport e in particolare rispetto all’imitazione di un campione che può portare un altro atleta ad assomigliargli nei gesti e nei comportamenti.
L’azione fisica non si esaurisce mai in sé stessa ma è sempre anche un modo di comunicare, come ha sottolineato la direttrice del dipartimento di Psicologia dell’Ateneo Antonella Marchetti. Lo si vede chiaramente nel rapporto madre-bambino, laddove il bambino conosce sé stesso e il suo caregiver attraverso tutto ciò che di motorio compone il sistema di caring, come la manipolazione e i gesti in generale. Ciò impatta anche sulla conoscenza del mondo che il bambino costruisce, poiché ciascuno tende a fidarsi di chi gli ha fornito esperienze sicure e affidabili non solo sul piano relazionale/affettivo ma anche in relazione agli oggetti del mondo.
Il corpo al centro, dunque, anche della psicologia. È l’assunto dell’autrice che ha cercato di mettere in dialogo e di integrare il linguaggio della neurobiologia e quello della psicologia dello sviluppo. Lo sport aiuta questo processo in quanto mostra come il sistema motorio non sia solo un tema di fisiologia o biomeccanica, ma un fondamento educativo e psicologico. «Chi lavora con il motorio (un allenatore, un educatore, un insegnante) lavora anche con la mente e con l’affettività, spesso senza saperlo» – ha dichiarato Di Dio –. Il libro segue volutamente un percorso a spirale, che parte dai fondamenti neuroanatomici, il sistema nervoso e la corteccia motoria, e si apre progressivamente alla dimensione dell’esperienza. Attraverso i neuroni specchio, impariamo che comprendiamo gli altri perché li sentiamo nel nostro stesso sistema».
L’anello di congiunzione tra le due discipline è l’attaccamento, ovvero il luogo in cui il sistema motorio diventa mente sociale. Come ha spiegato l’autrice, accompagnare una persona nello sviluppo significa sempre regolare emozioni, costruire sincronizzazione motoria e affettiva, favorire empatia.
Il libro apre anche a scenari futuri che si confrontano con l’intelligenza artificiale, controcanto perfetto al tema sviluppato perché si tratta di un’intelligenza senza corpo, senza sensorialità, senza esperienza vissuta. «Ciò che è “quasi umano” ci inquieta, perché ci mostra in controluce quello che manca, ovvero un corpo vulnerabile, una storia, una biografia emotiva, la possibilità di essere feriti e trasformati dalla relazione» – ha spiegato la professoressa.
L’AI ci pone la domanda su cosa sia l’intelligenza. La risposta che emerge dal volume è chiara: l’intelligenza non è solo pensare, è vivere in un corpo che sente, si muove, si sincronizza, sbaglia, si rialza e si lega agli altri. Il sistema motorio è il cuore pulsante del funzionamento mentale, ed è proprio nel movimento e nella relazione la differenza profonda tra noi e qualsiasi intelligenza artificiale.
Il manuale diventa così un monito a ripensare la psicologia partendo dal motorio, perché – ha concluso Di Dio – «educatori e psicologi siano capaci di restituire al sistema motorio il suo posto, cioè quello di architettura della mente e del legame umano. In fondo, comprendere, così come educare e amare, significa sempre anche muoversi verso l’altro».