«La disponibilità e la predisposizione all'ospitalità che abbiamo trovato sono semplicemente indescrivibili» – dice Andrea – «la bellezza – aggiunge Fabio - sta nel provare a entrare nel loro mondo: seguirne i riti, scoprirne la quotidianità, cercare di conoscerli davvero. E magari offrire una mano con piccoli gesti, o anche solo con un sorriso».
«Mentre svolgono le loro attività, le persone cantano, ballano, pregano e ti accolgono con calore. C’è una ricchezza umana immensa — racconta Andrea — che ti fa sentire quasi in difficoltà, perché tu hai tutto, ma non hai lo stesso entusiasmo e approccio alla vita».
Moltissime persone vivono in estrema povertà, le strutture sono fatiscenti, le case assomigliano a delle baracche, i servizi igienici sono all’esterno delle abitazioni, non tutti i bambini possono frequentare la scuola e assicurarsi un pasto al giorno.
«Ciò che mi ha lasciato un segno profondo — dice Andrea — è stato vedere con i miei occhi la dedizione di chi lavora nella Fondazione: persone che ogni giorno si impegnano per migliorare la vita dei più fragili, come i bambini con disabilità accolti nell’orfanotrofio di Suor Lucy».
Durante la permanenza in Uganda non sono mancati momenti di svago. «Eravamo insieme ad alcune studentesse di Medicina e si è creato un bel gruppo — raccontano — con loro abbiamo visitato Kampala, fatto un Safari, cenato al Marriott e passato una serata in discoteca. È stato bello condividere anche il tempo libero».
«È un’esperienza che tutti dovrebbero fare, ci ho lasciato un pezzo di cuore, vorrei tornare con mia figlia» – dice Andrea –. «L’Uganda – conclude Fabio – è diventata per noi uno “stato dell’anima”, l’emozione di un tramonto diverso e un’alba che forse ci ha aiutato a re-imparare a essere felici di niente o con poco».