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Zorzi, l’Italvolley e il racconto di una generazione di fenomeni

14 aprile 2025

Zorzi, l’Italvolley e il racconto di una generazione di fenomeni

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«Provare a raccontare la storia di una squadra, una vicenda collettiva, perché la pallavolo è l’unico sport che ti obbliga a passare la palla, rivelandosi un messaggio positivo in un mondo che si rifugia nell’individualismo». Andrea Zorzi, uno dei campioni della nazionale di Velasco che vinse praticamente tutto negli anni ’90, presenta così il documentario Rai, prodotto da Dinamo, “Generazione di fenomeni”, diretto dal regista Paolo Borraccetti, dedicato all’unione – non sempre semplice, talvolta conflittuale – di un gruppo di fuoriclasse amalgamati da un altro fuoriclasse seduto in panchina: Julio Velasco. I loro nomi sono ormai leggenda: Bernardi, Zorzi, Giani, Gardini, Tofoli, Papi, Cantagalli, Bracci, De Giorgi. Della loro epopea, che li portò a vincere Europei, Mondiali e World League, si è occupata la lezione aperta dal tema “Il documentario sportivo nell'era dello streaming”, all'interno del corso di Teoria e tecnica dei media della facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere, tenuto dal professor Paolo Carelli.

Al regista Borraccetti il compito di spiegare alle studentesse e agli studenti come si costruisce un documentario sportivo, dalla ricerca del soggetto cui fare la proposta al lavoro serrato di realizzazione. Dopo il tramonto dell’interesse di Sky, l’abboccamento con la Rai che propone un prodotto da mandare nello slot preolimpico. Vuol dire realizzare un documentario di 90 minuti in sei mesi, spiega Paolo Borraccetti, un tempo strettissimo che sarà rispettato con grande sforzo. L’intuizione del regista è quasi casuale: parlando con uno dei campioni del tempo, Paolo Tofoli, spuntano una serie di vhs che era solito girare in camera d’albergo durante i ritiri o nei momenti liberi. È un po’ la chiave di volta narrativa, perché permette di raccontare quella generazione di fenomeni non solo con le immagini d’archivio delle prestazioni sportive, ma anche con un punto di vista alternativo interno alla squadra.


Zorzi, coinvolto sin dall’inizio in quanto giornalista sportivo e perno delle relazioni con tutti i suoi compagni di squadra, chiede al regista due attenzioni: evitare la deriva retorica ed etica con cui spesso si racconta lo sport ed enfatizzare che il documentario non sarà dedicato a un singolo, ma sarà il racconto collettivo di una squadra, anche nella sconfitta. Da sportivo, confida Zorzi, «c’era solo il bianco o il nero, vincere o perdere». Oggi non è più così, perché la vita non è così. «La comunicazione, invece, polarizza le cose e allora è importante impedire che lo sport sia un modello di tutta la nostra vita. Da uomo adulto punto ad attenuare la tendenza a parlare di vincenti o perdenti. La sconfitta è parte importante anche nella vita nello sportivo: non dobbiamo esaltarla come fosse una vittoria, ma saperla accettare e darle il suo significato».

E in questo modo ci si ricollega a quella generazione di fenomeni, come li definì il telecronista Jacopo Volpi in diretta tv. Quella fu una squadra vincente, ma non fino in fondo; straordinaria, ma non perfetta, anche perché sfiorò ma non vinse le Olimpiadi. A distanza di molti anni, il documentario ripercorre quel momento, con il distacco e la leggerezza necessaria, perché in fondo il pubblico ha amato questa squadra anche per la sua imperfezione. Ed è proprio tutto questo amore che fa del documentario televisivo un racconto convincente.

Un articolo di

Paolo Ferrari

Paolo Ferrari

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