Il campo da calcio sembra emergere dal Mar di Norvegia a Henningsvaer. Il villaggio di pescatori, nel cuore delle Isole Lofoten, conta poco più di 500 abitanti. Sullo sfondo c’è il Vågakallen, che si erge maestoso. Più vicino, le inconfondibili rastrelliere sulle quali i merluzzi vengono fatti essiccare, seguendo un lento processo di lavorazione dalla tradizione millenaria. Lo sport trova spazio anche sull'isola di Hellandsøya, una delle tre principali sulle quali si distribuisce il piccolo borgo, tra rocce, onde e stoccafissi. A testimonianza della volontà visionaria di accompagnare la pratica sportiva nella vita delle persone, che si traduce in benessere tangibile e sviluppo di comunità.
È soltanto un esempio, ma non è un caso se la Norvegia, con meno di cinque milioni e mezzo di abitanti, sia stabilmente al primo posto nel medagliere delle Olimpiadi invernali. E lo è per distacco. Nell’ultima edizione, a Pechino, i norvegesi hanno conquistato 37 medaglie, di cui 16 del metallo più pregiato. I tedeschi, secondi classificati, si sono fermati a 26. La volta precedente, nel 2018 a Pyeongchang, le medaglie della Norvegia furono addirittura 39. Come è possibile? Le ragioni di questa storia di successo sono tra i tanti spunti emersi dal seminario “Per fare un albero ci vuole… sport nella natura e sviluppo di comunità”.
Un evento organizzato dal dottorato internazionale in Scienze dell’esercizio fisico e dello sport, nato dalla collaborazione tra l'Università Cattolica del Sacro Cuore, l’Università degli Studi di Milano e la Russian State University of Physical Education, Sport, Youth and Tourism di Mosca. «Si tratta di una prima iniziativa, aperta a tutti, alla quale ne seguiranno altre» spiega Caterina Gozzoli, coordinatore del Dottorato. «La professoressa Calogiuri è una ricercatrice che si è formata in Italia e da anni lavora in Norvegia. Grazie alla collaborazione con lei abbiamo affrontato il tema della pratica sportiva nei contesti naturali, e in che modo questa pratica può influenzare il benessere psicofisico delle persone e lo sviluppo delle comunità e dei territori».
«Nella mia attività di ricerca sono molto interessata al modo in cui l’ambiente intorno a noi influisca sulla nostra salute, e a come la natura possa avere un effetto diretto ma anche benefici indiretti» racconta Giovanna Calogiuri, docente di Health Science alla University of South-Eastern Norway. «È quasi impossibile paragonare Norvegia e Italia, ma se il nostro Paese vuole crescere sotto questi aspetti è importante la volontà politica di investire nella giusta direzione». C’è poi la «mentalità», che secondo la ricercatrice «aiuta indubbiamente» i popoli del Nord. «In Norvegia i bambini vengono educati fin da piccoli a stare all’aperto. In Italia c’è più apprensività. Mi riferisco per esempio al desiderio di protezione dal freddo o dalla pioggia. In Norvegia l’approccio è quasi agli antipodi».
All’incontro, moderato da Emiliano Cè, docente di Metodi e didattiche delle attività sportive all’Università degli Studi di Milano, hanno partecipato Daniela Marzana, professoressa di Psicologia sociale all’Università Cattolica, che si è concentrata sul tema dello sport outdoor per lo sviluppo di comunità, Domenico Lupatini, presidente dell’US Acli, e Valentina Ferrari, alumna della Facoltà di Psicologia della Cattolica, che ha trattato il tema della promozione del benessere e della partecipazione di comunità con l’orienteering, attraverso l’esperienza degli studenti di Enaip Milano, insieme a Giuseppe Magenes, allenatore della disciplina nata all'inizio del secolo scorso nei Paesi scandinavi.
«I temi dell’esercizio fisico e dello sport non riguardano solo il tempo libero ma possono costituire un elemento fondamentale per il benessere psicofisico della persona» spiega Fabio Esposito, presidente del Comitato di direzione della Scuola di Scienze motorie dell’Università degli Studi di Milano. «Il seminario è entrato nel cuore di questa tematica, perché nel nostro Dottorato affrontiamo diverse prospettive di esercizio fisico e sport: fisiologica, psicologica, pedagogica, metodologica».
«Questo Dottorato di ricerca ha proprio l’obiettivo di andare a testare come la pratica sportiva outdoor possa rappresentare un’occasione per sviluppare benessere e partecipazione di comunità» chiosa Chiara D’Angelo, membro della faculty. «Lo stiamo facendo concentrandoci su ragazzi che frequentano scuole professionali, e rappresentano un target a rischio sia di dispersione scolastica sia di dropout sportivo».
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