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Territorio e resilienza «Così le api mi hanno trovato»
In Cattolica è andato in scena un appuntamento sull'identità del territorio, fra teoria e analisi sensoriale. Il caso di Chiara Concari, produttrice di miele
| Filippo Lezoli
16 maggio 2025
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Il 20 maggio si celebra la Giornata Mondiale delle api, un’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica sul ruolo fondamentale degli insetti impollinatori, che trasferendo il polline tra i fiori, rendono possibile la riproduzione e preservano la biodiversità.
Tra chi da anni studia questi straordinari alleati della natura c’è la professoressa Ilaria Negri, entomologa del Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali Sostenibili diretto dalla professoressa Paola Battilani. Le sue ricerche vedono le api (ma non solo) protagoniste.
Professoressa Negri, qual è il quadro attuale?
«Gli impollinatori sono insetti straordinari e insostituibili: le api e i bombi sono certamente i più noti, ma non dobbiamo dimenticare le api solitarie, le farfalle, le falene e moltissimi altri insetti, tra cui diversi coleotteri, mosche e vespe. Il lavoro invisibile di questi piccoli operai permette la riproduzione di quasi il 90% delle piante selvatiche da fiore e di circa il 70% delle principali colture, sostenendo quindi un valore economico immenso, stimato di oltre 350 miliardi di dollari. Cerali, frutta, verdura, caffè, cacao, foraggio per il bestiame, cotone, lino, piante ornamentali sono solo alcuni esempi di prodotti fortemente legati al lavoro degli impollinatori ».
Ma il loro contributo non si ferma qui, vero?
«Assolutamente. Studi recenti stanno rivalutando il ruolo degli impollinatori anche in colture impollinate principalmente dal vento e da meccanismi di autofecondazione, come il pomodoro e perfino la vite. E poi gli impollinatori non sono solo indispensabili per il mantenimento della biodiversità e la produzione di cibo; le api da miele, ad esempio, ci forniscono molti prodotti impiegati nell’industria alimentare o in quella farmaceutica e cosmetica: non solo il miele, ma anche il polline, la pappa reale, la cera vergine, la propoli».
Sanno anche darci informazioni sull’ambiente in cui viviamo e sul livello di inquinamento
«È vero. Gli impollinatori sono anche ottimi bioindicatori dello stato di salute dell’ambiente e ci forniscono informazioni precise sulla presenza di inquinanti quali i metalli pesanti, i pesticidi, le diossine e persino le polveri sottili, i famigerati PM10, PM2.5, e ultrasottili».
Oggi, però, molte specie sono in pericolo.
«Purtroppo, sì. Il declino è causato soprattutto da tre fattori: mancanza di cibo (cioè fiori), inquinamento e cambiamento climatico. Proteggere gli impollinatori significa tutelare il futuro della vita sulla Terra » .
Cosa si sta facendo concretamente per proteggerli?
«Le iniziative sono numerose. A livello europeo, la Commissione ha avviato un piano per contrastare il declino degli impollinatori selvatici, parte integrante della Strategia sulla biodiversità e del Green Deal europeo, da raggiungere entro il 2030. A questi si aggiungono anche gli Ecoschemi PAC, strumenti della nuova Politica Agricola Comune (PAC 2023-2027), che incentivano gli agricoltori a intraprendere pratiche più sostenibili per il clima, per l'ambiente e anche per gli impollinatori. Ci sono poi finanziamenti – pubblici, privati e internazionali- che sostengono progetti sulla tutela degli impollinatori e coinvolgono i cittadini in azioni semplici ma efficaci di salvaguardia: seminare fiori selvatici ricchi di nettare, creare rifugi e siti per la nidificazione, prendersi cura del verde in città evitando potature dannose come le capitozzature e le rasature a zero dei prati».
L'Università Cattolica ha attivi progetti di ricerca in questo ambito?
«Sì, molti. Ad esempio, il progetto H2020 Minagris che studia gli effetti di micro e nanoplastiche negli agroecosistemi. Con il professor Edoardo Puglisi, WP leader del progetto Minagris, stiamo valutando gli impatti di questi inquinanti sul microbioma delle api, che possono ingerire frammenti piccolissimi di plastiche usate in agricoltura come i teli da pacciamatura, con effetti sulla loro salute. Collaboriamo poi con enti pubblici per progetti di rinaturalizzazione urbana, per promuovere la biodiversità e la salute dei cittadini. Un esempio è il progetto To BEE, in collaborazione con il Comune di Sorbolo-Mezzani e finanziato dalla Fondazione Cariparma, che studia la biodiversità degli impollinatori (api selvatiche, bombi, farfalle, falene, coleotteri floricoli). In quell’area stiamo poi utilizzando le api anche come bioindicatori di polveri sottili e ultrasottili: siamo gli unici al mondo in grado di caratterizzare le polveri inquinanti catturate dalle api durante i loro voli e di identificarne con precisione le fonti di emissione, quali il traffico, le attività industriali e così via».
Collaborate anche con il mondo delle imprese?
«Le nostre competenze ci portano a collaborare anche con molte aziende (ad esempio, Acea Ambiente, Buzzi Unicem, Dyson e molte altre): attualmente Davines, azienda del settore cosmetico, ci ha commissionato una ricerca sulla biodiversità delle farfalle presso EROC, il centro di formazione e ricerca internazionale nel campo dell’agricoltura biologica rigenerativa».
Un articolo di