
News | Milano
Giustizia riparativa, la lezione del premio Balzan John Braithwaite
Il professore, emerito all’Australian National University, è considerato uno dei “padri” della disciplina
| Katia Biondi
15 aprile 2025
Condividi su:
“Provenance” e “provenance research” sono termini oggi entrati nel linguaggio quotidiano degli operatori del mercato dell’arte e delle istituzioni culturali. A riflettere sul loro significato mercoledì 9 aprile 2025, in occasione della Giornata Internazionale della Ricerca sulla Provenienza, è stato il professor Andrzej Jakubowski, dell’Institute of Law Studies, Polish Academy of Science, durante il seminario dal titolo “Provenance Research and International Justice: Objectives, Methods and Challenges”, organizzato e presentato nel corso di Law & the Arts, presieduto dalla professoressa Arianna Visconti nell’ambito della laurea in Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo.
Secondo il professor Jakubowski, la definizione più accurata di “provenance research” si trova sul sito della Università di Yale, dove è descritta come “un lavoro dettagliato e interdisciplinare che ricostruisce la storia della proprietà, o la ‘biografia’, di un’opera d’arte dalla sua creazione fino ai giorni nostri”. Parte essenziale della ricerca storico-artistica è incentrata sullo studio dell’oggetto e questa, come spiegato da Jakubowski, viene condotta tramite l’accesso a materiale archivistico (se disponibile), cataloghi, ricevute di vendita, documentazione di spedizione, certificati e licenze di esportazione e di importazione, per fare qualche esempio. Le indagini sulla provenienza possono fornire informazioni “sulla funzione, lo stato di conservazione o il valore di un'opera”, ma anche sul “mercato dell’arte, il collezionismo e il gusto, così come sul modo in cui individui, comunità, istituzioni e nazioni hanno interpretato, valorizzato e custodito gli oggetti nel tempo”.
Per condurre queste ricerche sono disponibili, in rete, alcuni strumenti come il Getty Provenance Index Database, una piattaforma dove sono condivisi, in open access, registri di mercanti d’arte e gallerie, documentazione proveniente da collezionisti, galleristi e case d’asta, ricevute di vendita di artisti e altri documenti che possono permettere di ricostruire la provenienza delle opere. La metodologia applicata alla provenance research non è immutabile, ma varia in base all’oggetto osservato, al Paese d’origine, alla giurisdizione e alle leggi applicabili nel caso insorgano dispute legali sul bene culturale.
Tra i casi presentati in cui la ricerca sulla provenienza ha svolto un ruolo chiave, Jakubowski in particolare ha citato quello di un’opera senza titolo del 1928 di Wassily Kandinsky, rubata nel 1984 dal Museo Nazionale di Varsavia e battuta all’asta da Grisebach, a Berlino, per 310.000 dollari. Durante le ricerche si scoprì che il museo di Varsavia non era il proprietario, ma un acquirente in buona fede di un’opera che era già stata rubata, insieme al resto della collezione di Otto e Kate Ralfs, dal deposito di Katowice (Polonia), prima dell’arrivo dell’Armata Rossa nel gennaio 1945.
Tra gli altri casi, è stato ricordato quello che ha coinvolto l’ex direttore del Louvre, Jean-Luc Martinez. Nel 2023, la Corte d’Appello di Parigi, prima, e la Corte Suprema, poi, hanno confermato le accuse per i reati di riciclaggio e frode. Martinez è accusato di aver falsificato alcuni documenti chiave per la provenienza di reperti archeologici acquistati, per oltre 15 milioni di euro, dal Louvre Abu Dhabi. Tra questi documenti figuravano certificati di esportazione. Martinez ha sostenuto di essere stato all’oscuro dei fatti fino al 2019, quando la confisca da parte della Procura Distrettuale di New York del sarcofago di Nedjemankh, acquistato dal Metropolitan Museum, rivelò dettagli importanti sulla falsificazione della documentazione di esportazione. Un altro caso citato è stato quello dell’Atleta di Fano, acquistato dal Getty Museum senza che, come ha rilevato la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il museo americano avesse, al momento dell’acquisto, effettuato un’adeguata ricerca della provenienza e due diligence.
Tre sono gli spunti emersi dal seminario, come corollari dell’assunto centrale: l’importanza sempre maggiore che la ricerca sulla provenienza ha assunto in tempi recenti. Il primo, intuibile indirettamente dai diversi strumenti presentati, è la mancanza di una definizione uniforme di cosa si intenda per provenance research, benché si parli da tempo di provenance o, più semplicemente, di documentazione relativa alla provenienza del bene culturale nell’arsenale giuridico internazionale contro il traffico illecito di opere d’arte. Ne sono esempio la Convenzione UNESCO del 1970 (Articoli 6(b); 7(b)(ii); 8; 10), la Convenzione UNIDROIT del 1995 (Art. 4(4)), dove la provenance è indicata come elemento della due diligence; i “Washington Principles” del 1998 (§ 4) e le successive “Best Practices for the Washington Conference Principles on Nazi-confiscated Art” del 5 marzo 2024 (lettere E, G, H); la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 2347 del 2017 (§8; §17(b), (g)); la Dichiarazione di Mondiacult del 2022 (§16) e le “Qingdao Recommendations for the Protection and Return of Cultural Objects Removed from Colonial Contexts or Acquired by Other Unjustifiable or Unethical Means” del 2024 (§5, 8, 9).
Oltre alla mancanza di una definizione unitaria – o persino di un elenco non tassativo di azioni che possano costituire una corretta condotta di ricerca della provenienza – Jakubowski ha evidenziato anche la problematicità di un approccio interamente occidentale all’indagine. Si tratta di un bias insito anche nelle normative sopra citate, le quali si fondano su un’idea di ricerca documentale pensata dal Nord Globale per gli oggetti delle collezioni del Nord Globale stesso. Eppure, abbandonando questo Western gaze, si potrebbero abbracciare modelli di ricerca della provenienza svincolati dall’idea esclusiva di un’indagine bibliografica, archivistica o documentale, come un tipo di ricerca che Jakubowski definisce “antropologica”.
L’ultimo punto, collegato al precedente, riguarda la finalità della ricerca sulla provenienza, che si sta emancipando dalla due diligence e quindi da una dimensione esclusivamente giuridico-mercantile, volta allo scambio e all’accrescimento del valore economico del bene. Oggi, la ricerca della provenienza sta perdendo la sua connotazione strettamente commerciale, assumendo una prospettiva diversa. In particolare, quando si tratta di collezioni formatesi durante il periodo coloniale, come osserva Jakubowski, la pubblica divulgazione della ricerca, il “racconto” della storia del bene culturale, nel museo, può essere impostato secondo un modello ispirato alla giustizia riparativa e di transizione.
Questo approccio si propone di offrire una forma di restituzione che non si limiti a una mera riparazione formale o patrimoniale, ma che possa essere percepita come autenticamente “giusta” e significativa dalle comunità coinvolte, tenendo conto della complessità storica, politica ed emotiva dei contesti in cui i beni sono stati sottratti. Si tratta, dunque, di un tentativo di elaborare risposte nuove e più consapevoli rispetto a quelle adottate in passato in situazioni analoghe, come nel caso del saccheggio nazista durante la Seconda guerra mondiale o dello spoglio sistematico verificatosi nel contesto di guerre civili. Eventi di tale portata hanno inciso profondamente sulla memoria collettiva e sull’identità culturale di intere comunità, lasciando eredità complesse che oggi richiedono approcci più sensibili e multidimensionali.
Un articolo di
Dottoranda, iscritta al terzo anno del Dottorato in Impresa, Lavoro, Istituzioni e Giustizia penale