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Per promuovere il linguaggio inclusivo nei contesti aziendali occorre far crescere l’empatia

14 febbraio 2025

Per promuovere il linguaggio inclusivo nei contesti aziendali occorre far crescere l’empatia

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Credenze errate, preoccupazioni, assenza di empatia. Ma anche presenza di emozioni negative, come l’ansia, a tal punto determinanti da influenzare per il 30% i comportamenti di accoglienza o di rifiuto nell’adozione del linguaggio inclusivo nei contesti aziendali. Sono queste alcune delle principali barriere che ostacolano l’uso diffuso di forme linguistiche “attente e rispettose delle diversità” secondo lo studio “Il linguaggio inclusivo tra resistenze e cambiamenti. I risultati della ricerca Words”, coordinato da Claudia Manzi, docente di Psicologia sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore e presentato mercoledì 12 febbraio nel corso dell’incontro “Ma non si può più dire niente?”, introdotto dai saluti di Raffaella Iafrate, delegata alle Pari Opportunità dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e di Alexandra Young, Head of Group Human Capital Organization and Change del Gruppo Mediobanca.

L’indagine - un’analisi qualitativa sviluppata in tre fasi basate su focus group e una survey quantitativa condotta su un campione di 1.100 partecipanti - è stata realizzata in collaborazione con Diversity & Inclusion Speaking e con il sostegno del Gruppo Mediobanca, fortemente impegnato su questo tema con l’integrazione di politiche per la parità di genere nel proprio Piano Strategico al 2026 e attraverso il progetto “toDEI”, finalizzato a promuovere una cultura aziendale che si fondi sulla comprensione, il rispetto e la valorizzazione delle differenze. Due gli obiettivi all’origine del progetto scientifico: comprendere quali siano i fatti di principale ostacolo a un atteggiamento favorevole nei confronti di questo tema; costruire uno strumento di intervento in grado di scardinare questi ostacoli e favorire un maggior utilizzo del linguaggio inclusivo, soprattutto in azienda. Infatti, la ricerca scientifica ha mostrato che, specialmente nei contesti aziendali, parlare in modo inclusivo ha un significativo e documentato effetto positivo sui lavoratori in termini di motivazione, senso di appartenenza, autoefficacia e, in ultima istanza, impegno e performance.

Quella emersa, quindi, è una fotografia interessante che fa vedere chiaramente come le persone che hanno resistenze nell’utilizzo del linguaggio inclusivo condividono una serie di preoccupazioni e credenze. L’indagine, inoltre, ha evidenziato significative differenze tra gruppi socio-anagrafici in relazione a competenza e intenzioni comportamentali verso il suo uso: donne e gruppi appartenenti a minoranze risultano più competenti nell’utilizzo del linguaggio inclusivo rispetto a uomini e a membri dei gruppi di maggioranza, mostrando anche una maggiore propensione a rimanere aggiornati e informati sull’argomento. Sempre secondo l’indagine, per favorire la diffusione del linguaggio inclusivo non basta fornire indicazioni su quali espressioni è opportuno o non opportuno usare quanto piuttosto affrontare il tema con un approccio ampio, in grado di sfatare false credenze, promuovere emozioni positive (empatia) e ridurre l’ansia della prestazione.

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«Le decisioni che prendiamo rispetto al linguaggio da utilizzare dovrebbero essere maggiormente basate sulle evidenze scientifiche e non sui nostri gusti o preferenze personali», spiega la professoressa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Claudia Manzi. «Per questo è importante che l’Università collabori con le realtà organizzative per poter studiare soluzioni solide e basate su evidenze empiriche. Questo studio dimostra che è possibile far abbassare le difese che le persone hanno rispetto a questo tema. In primo luogo, occorre avere un approccio che non sia prescrittivo del “questo sì e questo no”. Inoltre, aiutare le persone a ragionare sull’evoluzione naturale che le lingue hanno e sugli effetti negativi che parole sbagliate possono avere sui nostri interlocutori, senza che possiamo rendercene conto», continua la coordinatrice dell’indagine.

Secondo Alexandra Young, Head of Group Human Capital Organization and Change di Mediobanca, «promuovere l’inclusività è un impegno che richiede esempi virtuosi da parte delle imprese e un esercizio che coinvolga tutte e tutti nel proprio quotidiano. Con l’intenzione di promuovere un cambiamento positivo sul luogo di lavoro e a livello sociale, il Gruppo Mediobanca ha colto l’opportunità di riflettere sul linguaggio per sviluppare una cultura dell’inclusione. Il contributo scientifico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ci dà una dimostrazione preziosa del potere delle parole e degli stimoli che è necessario continuare a disseminare».

Di questo è convinta Alexa Pantanella, autrice del libro Words. Cosa significa parlare inclusivo, la cui lettura per favorire la promozione del linguaggio inclusivo è stata alla base di una delle fasi del progetto scientifico. «Sono molto felice delle evidenze di questo studio, che conferma l’impegno che, come Diversity & Inclusion Speaking, portiamo avanti in termini di contributo alla ricerca scientifica sul tema del linguaggio». E aggiunge: «Grazie all’attività di ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e in particolare della docente Manzi, si tratta del 4° studio sperimentale su questo tema che realizziamo, in 6 anni di collaborazione. In particolare, questo studio aiuta chi, come noi, si muove sul tema del linguaggio ampio a mettere meglio a fuoco da dove originano le resistenze al cambiamento e quale sia l’approccio formativo e divulgativo che possa favorirlo in modo efficace e reale, negli atteggiamenti prima e nell’effettiva pratica quotidiana, poi. Ringrazio nuovamente il Gruppo Mediobanca, per aver fortemente creduto in questo progetto e per aver scelto di sostenerlo».

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Redazione

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Prima fase. Lo studio si è articolo in tre fasi. La prima fase dello studio ha previsto la realizzazione di tre focus group con 33 lavoratori e lavoratrici di diverse fasce d’età (under 35, 35-50, over 50). I risultati dello studio qualitativo mostrano che le persone che presentano resistenze verso l’utilizzo del linguaggio inclusivo condividono una serie di preoccupazioni e credenze, che si muovono tra la difesa della tradizione linguistica e la percezione di un’esagerazione, un’eccessiva spinta verso la tutela delle minoranze a scapito dei gruppi maggioritari. Parlare in modo inclusivo non solo genera ansia, ma è inoltre percepito come poco naturale, complicato. In altre parole, un’utopia.

La seconda fase del progetto ha riguardato una survey con l’obiettivo di analizzare quantitativamente l’impatto degli atteggiamenti, emozioni e credenze legate al linguaggio inclusivo sul suo utilizzo. Il campione finale era composto da 1.110 partecipanti. I risultati confermano ciò che è emerso nei focus group: le emozioni hanno un peso importante nell’adozione del linguaggio inclusivo tanto da influenzare per il 30% i comportamenti di accoglienza o rifiuto nei confronti dello stesso. L’indagine ha inoltre evidenziato significative differenze tra gruppi socio-anagrafici in relazione alla competenza e alle intenzioni comportamentali verso l’uso del linguaggio inclusivo. Donne e gruppi appartenenti a minoranze risultano più competenti nel suo utilizzo rispetto agli uomini e ai membri dei gruppi di maggioranza. Inoltre, gli stessi gruppi mostrano una maggiore propensione a rimanere aggiornati e informati sull’argomento.

La terza fase, infine, è stata costruita sulle evidenze empiriche delle prime due fasi dell’indagine. Sulla base dei risultati emersi è stato costruito uno strumento di promozione del linguaggio inclusivo: il libro Words, curato da Alexa Pantanella, in collaborazione con diversi/e autori e autrici e pubblicato dal Gruppo Mediobanca (scarica l’ebook al seguente link). Nel testo - che inquadra il tema del linguaggio inclusivo in maniera ampia, non prescrittiva - sono affrontate le principali credenze che ostacolano l’adozione di questo linguaggio e favorite riflessioni sulle proprie emozioni a riguardo di questo tema.


Uno studio sperimentale, a cui hanno partecipato 194 persone, ha poi testato l’efficacia del testo nel promuovere il linguaggio inclusivo nel contesto aziendale. Nello specifico sono stati creati tre gruppi sperimentali per valutare l’efficacia di Words sul linguaggio inclusivo. Il primo gruppo ha letto alcuni capitoli del libro; il secondo è stato sottoposto alla lettura di un Vademecum, contenente linee guida operative su come comunicare in modo inclusivo; mentre il gruppo di controllo ha letto un articolo de Il Sole 24 Ore sul progetto portato avanti dal Gruppo Mediobanca sull’importanza della comunicazione inclusiva.

Dall’analisi dei dati, emerge che le persone che hanno letto Words migliorano i propri atteggiamenti verso il linguaggio inclusivo del 19,8%. Questo effetto positivo non si riscontra invece nel gruppo di controllo e in quello che ha letto il Vademecum. La lettura di Words ha anche portato a una riduzione dell’ansia legata alla paura di sbagliare, soprattutto tra gli uomini (pari al 2,45%), effetto positivo che non si riscontra invece nel gruppo di controllo e in quello che ha letto il Vademecum. Words, poi, si dimostra efficace nel modificare i comportamenti, promuovendo l’adozione di un linguaggio più inclusivo anche tra chi ha atteggiamenti inizialmente più negativi; migliora, inoltre, le competenze, ovvero la capacità di utilizzare e riconoscere il linguaggio inclusivo. Le persone sono state sottoposte anche a un test di competenza e nel gruppo Words si è registrato un miglioramento di +16,8 punti percentuali nelle risposte corrette, accompagnato da una diminuzione di -8,6 punti percentuali nelle risposte errate.

Infine, Words dimostra di avere un impatto positivo anche in contesti in cui il clima organizzativo è meno favorevole per le donne e indipendentemente dai livelli generali di inclusione presenti nell’azienda. A differenza degli altri gruppi sperimentali, dove il clima organizzativo gioca un ruolo cruciale nel determinare l’efficacia dell’intervento, Words sembra attenuare l’influenza del contesto. In sintesi, tende a livellare le differenze legate al clima aziendale, promuovendo un maggiore interesse verso il tema dell’inclusione, indipendentemente dalle condizioni di partenza nell’organizzazione. Negli altri gruppi invece, il clima organizzativo può compromettere l’efficacia dell’intervento.

Ne risulta, quindi, che le principali barriere nei confronti del linguaggio inclusivo hanno origine in credenze errate, ma anche nell’assenza di empatia e nella presenza di  emozioni negative, come l’ansia. Per parlare inclusivo non basta fornire indicazioni su quali espressioni è opportuno o non opportuno usare occorre, invece, affrontare il tema con un approccio ampio, in grado di sfatare false credenze, promuovere emozioni positive (empatia) e ridurre l’ansia della prestazione.

Dopo la presentazione dell’indagine è seguita la testimonianza del podcaster, autore e scrittore Pablo Trincia e una tavola rotonda che, moderata dall’autrice Alessandra Torre, ha avuto come protagonisti Silvia Gilardoni, docente di Didattica delle lingue moderne in Cattolica, Alexa Pantanella, Ceo e Founder, Diversity & Inclusion Speaking, e Alessandro Zaccuri, direttore della Comunicazione all’Università Cattolica del Sacro Cuore. L’incontro si è concluso con la performance dell’attrice Laura Formenti e alcuni Laboratori di libera espressione inclusiva.

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