Credenze errate, preoccupazioni, assenza di empatia. Ma anche presenza di emozioni negative, come l’ansia, a tal punto determinanti da influenzare per il 30% i comportamenti di accoglienza o di rifiuto nell’adozione del linguaggio inclusivo nei contesti aziendali. Sono queste alcune delle principali barriere che ostacolano l’uso diffuso di forme linguistiche “attente e rispettose delle diversità” secondo lo studio “Il linguaggio inclusivo tra resistenze e cambiamenti. I risultati della ricerca Words”, coordinato da Claudia Manzi, docente di Psicologia sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore e presentato mercoledì 12 febbraio nel corso dell’incontro “Ma non si può più dire niente?”, introdotto dai saluti di Raffaella Iafrate, delegata alle Pari Opportunità dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e di Alexandra Young, Head of Group Human Capital Organization and Change del Gruppo Mediobanca.
L’indagine - un’analisi qualitativa sviluppata in tre fasi basate su focus group e una survey quantitativa condotta su un campione di 1.100 partecipanti - è stata realizzata in collaborazione con Diversity & Inclusion Speaking e con il sostegno del Gruppo Mediobanca, fortemente impegnato su questo tema con l’integrazione di politiche per la parità di genere nel proprio Piano Strategico al 2026 e attraverso il progetto “toDEI”, finalizzato a promuovere una cultura aziendale che si fondi sulla comprensione, il rispetto e la valorizzazione delle differenze. Due gli obiettivi all’origine del progetto scientifico: comprendere quali siano i fatti di principale ostacolo a un atteggiamento favorevole nei confronti di questo tema; costruire uno strumento di intervento in grado di scardinare questi ostacoli e favorire un maggior utilizzo del linguaggio inclusivo, soprattutto in azienda. Infatti, la ricerca scientifica ha mostrato che, specialmente nei contesti aziendali, parlare in modo inclusivo ha un significativo e documentato effetto positivo sui lavoratori in termini di motivazione, senso di appartenenza, autoefficacia e, in ultima istanza, impegno e performance.
Quella emersa, quindi, è una fotografia interessante che fa vedere chiaramente come le persone che hanno resistenze nell’utilizzo del linguaggio inclusivo condividono una serie di preoccupazioni e credenze. L’indagine, inoltre, ha evidenziato significative differenze tra gruppi socio-anagrafici in relazione a competenza e intenzioni comportamentali verso il suo uso: donne e gruppi appartenenti a minoranze risultano più competenti nell’utilizzo del linguaggio inclusivo rispetto a uomini e a membri dei gruppi di maggioranza, mostrando anche una maggiore propensione a rimanere aggiornati e informati sull’argomento. Sempre secondo l’indagine, per favorire la diffusione del linguaggio inclusivo non basta fornire indicazioni su quali espressioni è opportuno o non opportuno usare quanto piuttosto affrontare il tema con un approccio ampio, in grado di sfatare false credenze, promuovere emozioni positive (empatia) e ridurre l’ansia della prestazione.
«Le decisioni che prendiamo rispetto al linguaggio da utilizzare dovrebbero essere maggiormente basate sulle evidenze scientifiche e non sui nostri gusti o preferenze personali», spiega la professoressa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Claudia Manzi. «Per questo è importante che l’Università collabori con le realtà organizzative per poter studiare soluzioni solide e basate su evidenze empiriche. Questo studio dimostra che è possibile far abbassare le difese che le persone hanno rispetto a questo tema. In primo luogo, occorre avere un approccio che non sia prescrittivo del “questo sì e questo no”. Inoltre, aiutare le persone a ragionare sull’evoluzione naturale che le lingue hanno e sugli effetti negativi che parole sbagliate possono avere sui nostri interlocutori, senza che possiamo rendercene conto», continua la coordinatrice dell’indagine.
Secondo Alexandra Young, Head of Group Human Capital Organization and Change di Mediobanca, «promuovere l’inclusività è un impegno che richiede esempi virtuosi da parte delle imprese e un esercizio che coinvolga tutte e tutti nel proprio quotidiano. Con l’intenzione di promuovere un cambiamento positivo sul luogo di lavoro e a livello sociale, il Gruppo Mediobanca ha colto l’opportunità di riflettere sul linguaggio per sviluppare una cultura dell’inclusione. Il contributo scientifico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ci dà una dimostrazione preziosa del potere delle parole e degli stimoli che è necessario continuare a disseminare».
Di questo è convinta Alexa Pantanella, autrice del libro Words. Cosa significa parlare inclusivo, la cui lettura per favorire la promozione del linguaggio inclusivo è stata alla base di una delle fasi del progetto scientifico. «Sono molto felice delle evidenze di questo studio, che conferma l’impegno che, come Diversity & Inclusion Speaking, portiamo avanti in termini di contributo alla ricerca scientifica sul tema del linguaggio». E aggiunge: «Grazie all’attività di ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e in particolare della docente Manzi, si tratta del 4° studio sperimentale su questo tema che realizziamo, in 6 anni di collaborazione. In particolare, questo studio aiuta chi, come noi, si muove sul tema del linguaggio ampio a mettere meglio a fuoco da dove originano le resistenze al cambiamento e quale sia l’approccio formativo e divulgativo che possa favorirlo in modo efficace e reale, negli atteggiamenti prima e nell’effettiva pratica quotidiana, poi. Ringrazio nuovamente il Gruppo Mediobanca, per aver fortemente creduto in questo progetto e per aver scelto di sostenerlo».