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Biden in Europa: cosa cambia con "America is back"

14 giugno 2021

Biden in Europa: cosa cambia con "America is back"

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La visita del Presidente americano Joe Biden in Europa in occasione del vertice G7 di Carbis Bay giunge a uno snodo importante dei rapporti fra Washington e il Vecchio continente. Finita la luna di miele con il giro di boa dei ‘cento giorni’ e le critiche che hanno accompagnato l’appoggio dato al governo israeliano in occasione degli attacchi condotti conto le postazioni di Hamas nella Striscia di Gaza, il Presidente deve muovere ora i primi passi concreti per rivitalizzare un rapporto transatlantico che – negli scorsi anni – ha risentito pesantemente delle scelte compiute dall’amministrazione Trump. L’agenda degli appuntamenti che lo attendono è fitta e variegata: accanto alla partecipazione all’incontro dei ‘Sette grandi’ (11-13 giugno), essa comprende incontri con il Primo ministro Johnson (10 giugno) e la regina Elisabetta II (13 giugno), la partecipazione al vertice dei Capi di Stato e di governo della NATO e un incontro privato con il Presidente turco Erdogan (14 giugno), la partecipazione al vertice USA-UE e l’incontro con i Presidenti della Commissione e del Consiglio europeo, von der Leyen e Michel (15 giugno) e, infine, l’atteso faccia-a-faccia, a Ginevra con il Presidente russo, Vladimir Putin (16 giugno).

L’esito di questi incontri appare in larga misura scontato. Prima della partenza, Biden ha dichiarato in più occasioni che il tempo dell’‘America first’ che ha ispirato le decisioni di Donald Trump e del suo entourage è finito. Sono parole che – sul fronte europeo – suonano rassicuranti. È quindi probabile che – al di là delle decisioni che saranno concretamente prese – i leader del Vecchio continente saranno disposti a garantire al Presidente una nuova e sostanziosa apertura di credito. Il rilancio delle relazioni con Washington costituisce, infatti, un obiettivo importante anche per l’Europa, sia per i singoli Stati, sia per le istituzioni comuni. La stessa cosa vale per l’Alleanza atlantica, il cui Segretario generale, Jens Stoltenberg, è stato fra i primi a salutare con favore l’esito delle elezioni dello scorso novembre. Le attuali sfide globali – dalla lotta contro il cambiamento climatico, alla ripresa post-pandemia, alla gestione della sfida posta dalla crescita dell’influenza cinese in campo internazionale – offrono forti incentivi alla collaborazione, anche se da parte europea l’esperienza dell’amministrazione Trump può avere lasciato delle riserve riguardo la concreta affidabilità degli impegni assunti dagli Stati Uniti.

È presto, tuttavia, per parlare sia di un rilancio del ‘vecchio’ asse transatlantico, sia dell’emergere del tanto auspicato ‘new transatlantic bargain’. Anche se con Joe Biden si assisterà all’allentarsi le tensioni che avevano segnato il rapporto con il suo predecessore e si vedranno le parti tornare a un dialogo diplomatico più ‘ortodosso’, molte ragioni strutturali di divergenza rimangono, prime fra tutte quelle legate alle politiche commerciali e alle scelte in materia economica poste in essere sulle due sponde dell’Atlantico. Anche in ambito NATO è difficile pensare a un puro e semplice ritorno al passato. Il processo di riflessione in corso sul futuro dell’Alleanza (#NATO2030) e l’attenzione che esso riserva agli aspetti globali della sua azione rischia, in questo campo, di offrire nuovo alimento alle divisioni che da tempo esistono al suo interno fra quanti privilegiano l’idea di una NATO proiettata ‘fuori area’ e quanti, al contrario, vedono la sua funzione di sicurezza in termini soprattutto regionali. Il permanere delle tensioni con Mosca non semplifica le cose, tenuto anche conto di come – all’interno dell’UE – molti Paesi continuino a guardare a Russia e Cina come a interlocutori privilegiati sul piano economico.

L’interesse di tutte le parti è, tuttavia, quello di minimizzare – almeno per il momento – queste possibili criticità; a maggior ragione perché, soprattutto in vista dell’incontro finale con il Presidente Putin (ma, in parte, anche di quello con il Presidente Erdogan), l’immagine di compattezza che Biden conta di offrire ai suoi interlocutori rappresenta un elemento centrale. Anche per questo motivo, scopo ultimo del viaggio presidenziale appare quello di ribadire il messaggio che ‘America is back’ e di sottolineare come – dietro a questa America ‘di nuovo presente’ – sia tornato ad aggregarsi un Occidente che, negli scorsi anni, sembrava avere sofferto della perdita della ‘bussola’ statunitense. Difficile dire come questo messaggio sarà recepito e quale sarà l’eventuale risposta. La vera sfida è, piuttosto, quella di capire se, al di là delle dichiarazioni ufficiali, fra Washington e l’Europa, sia davvero riemersa una convergenza di interessi e quanto, in nome di questa ritrovata convergenza, gli USA siano disposti a tornare a svolgere un’azione equilibrante delle dinamiche occidentali che con Donald Trump (ma, in una certa misura, anche con Barack Obama) sembravano avere rinunciato a esercitare.

Un articolo di

Gianluca Pastori

Gianluca Pastori

Docente di Storia delle Relazioni tra Nord America ed Europa

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