Da questo punto di vista «l’Inps funge da snodo centrale di un sistema articolato di prestazioni e servizi sociali per rispondere alle esigenze dei lavoratori, innanzitutto e delle imprese, delle donne, delle famiglie, dei pensionati garantendo loro accesso tempestivo e sicuro a tutele fondamentali come previdenza, sostegno nei periodi di disoccupazione, maternità e molto altro», ha ribadito il presidente Inps Gabriele Fava, docente all’Università Cattolica, campus di Piacenza. «Per quanto riguarda l’immigrazione, a mio modo di vedere, è possibile e auspicabile un’integrazione qualificata. Quindi, laddove oggi registriamo una richiesta o un fabbisogno del tessuto produttivo, in tal senso, se manca manodopera qualificata, la andiamo a intercettare e a integrare nel tessuto produttivo, in modo chiaro e regolare».
Un Paese, il nostro, che invecchia rapidamente e richiede meno timidezza sul tema da parte di tutti gli attori istituzionali. «Le dinamiche demografiche del nostro Paese sono chiare, c’è un progressivo invecchiamento dovuto alla denatalità e una riduzione della popolazione», ha specificato il presidente Istat Francesco Maria Chelli. «Gli anni che abbiamo davanti rappresentano una sfida senza precedenti perché mai in passato abbiamo dovuto misurarci con equilibri che vedono oggi sei anziani per ogni bimbo fino a cinque anni di età. La sfida si può vincere con l’inclusione, con più partecipazione e una maggiore permanenza nel mercato del lavoro: è l’unico modo per rendere sostenibile questa transizione per la nostra società, la nostra economia e soprattutto il nostro welfare». Un aspetto ripreso anche da Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, secondo cui «la metà della spesa sociale è per gli anziani, quasi tutta in termini monetari erogata da tanti enti che non si parlano, con forti disuguaglianze territoriali senza coinvolgere il terzo settore nella coprogettazione».
Ecco perché ha suggerito Alessandro Rosina, docente di Demografia all’Università Cattolica, «politiche familiari, migratorie, di contrasto agli squilibri generazionali e di genere, devono essere integrate tra di loro, all’interno di una coerente visione sistemica, e considerate parte centrale delle politiche di sviluppo del Paese. Perché non consentono solo di rispondere alla crisi demografica e all’invecchiamento della popolazione, ma nel contempo riducono le diseguaglianze sociali e territoriali. La società della longevità è sostenibile solo valorizzando il contributo di tutti e il benessere in tutte le età della vita». D’altronde, ha osservato Claudio Lucifora, docente di Economia politica all’Università Cattolica del Sacro Cuore, «nei principali paesi sviluppati, il ciclo di vita delle persone è accompagnato da una serie di servizi, da indennità, sussidi, che li segue dalla nascita alla morte. È il cosiddetto Welfare State che serve ad assicurare dagli eventi avversi, sia la malattia, la vecchiaia, la non autosufficienza, ma anche i bambini alla nascita, i più deboli, i più fragili tra gli individui e le famiglie. In Italia questo ruolo è svolto e assolto dall’Inps, che gestisce una serie di prestazioni previdenziali e socio-assistenziali per assicurare i rischi di individui e famiglie e ridurre le diseguaglianze».
Una riduzione delle diseguaglianze che però passa necessariamente da quel «dialogo intergenerazionale», richiamato dal cardinale Zuppi, e con cui concorda fortemente Elena Marta, docente di Psicologia sociale in Cattolica. «Dalle evidenze empiriche di ricerca emerge sia da parte dei giovani che degli imprenditori adulti una grande attenzione alla necessità di costruire un nuovo dialogo tra le generazioni a partire da quello tra imprenditori adulti e i giovani in una dinamica di scambio e arricchimento reciproco che possa valorizzare quanto viene portato dai giovani (in termini di competenze digitali per esempio) e non solamente nel rapporto asimmetrico di “capo-sottoposto”».