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Contro le nuove fragilità, l’obiettivo inclusione dell’Inps

13 dicembre 2024

Contro le nuove fragilità, l’obiettivo inclusione dell’Inps

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Rappresentano l’anello debole della popolazione più a rischio povertà. Sono giovani, donne, famiglie con figli a carico, anziani, immigrati. Soggetti fragili che necessitano di aiuti economici e prestazioni assistenziali per evitare che possano restare intrappolati in nuove forme di esclusione sociale. Un ruolo di contrasto alle fragilità lavorative e all’emarginazione è svolto negli ultimi anni dall’Inps, con un impegno significativo verso l’inclusione delle persone più vulnerabili. Complessivamente sono 7 milioni gli italiani che ricevono un supporto. Nello specifico, l’Istituto nazionale di previdenza sociale, grazie a prestazioni mirate nell’ottica di un welfare generativo sempre più personalizzato, ha fornito sostegno a oltre 3 milioni di lavoratori, garantendo interventi di integrazione al reddito per disoccupati e prestazioni di integrazione salariale per coloro che hanno subito sospensioni aziendali. Inoltre, sono state più di 4 milioni le prestazioni assistenziali e di invalidità civile erogate; nel primo semestre del 2024, poi, 695 mila nuclei familiari hanno beneficiato dell’Assegno di Inclusione, sostenendo 1,67 milioni di individui, e a 10 milioni di figli appartenenti a 6,2 milioni di nuclei familiari è stato destinato l’Assegno Unico e Universale. I dati sono raccolti nel XXIII Rapporto annuale a cura del direttore del Centro Studi e Ricerche di Inps Gianfranco Santoro, dal titolo “Obiettivo inclusione”, presentato giovedì 12 dicembre all’Università Cattolica del Sacro Cuore, con un quadro dettagliato sulla complessità del momento, dove la forbice tra ricchi e poveri si allarga sempre di più.

«Anche il rapporto Caritas degli ultimi anni sottolinea che la povertà diventa una cronicità. Una cronicità che deve preoccupare tutti», ha detto il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana e keynote speaker del dibattito, moderato dal giornalista del Corriere della Sera Nicola Saldutti e aperto dal messaggio video del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana. «L’Italia è segnata da una serie di aziende che minacciano la chiusura per i posti di lavoro con il rischio di aumentare la guerra dei poveri - ha proseguito il cardinale Zuppi -. Il capitalismo anonimo delle multinazionali tende a spostare la produzione dove la manodopera costa meno, rispondendo alle domande di guadagno degli investitori prima ancora della giustizia verso i lavoratori. E tutto ciò ha un impatto culturale sul valore del lavoro che viene esibito a interesse della speculazione e non viene valorizzato come collante della vita sociale di un paese che ha ancora nel primo suo articolo della costituzione il lavoro». Da questo punto di vista, «credo che dobbiamo fare un grande sforzo e il presidente dell’Inps lo ribadisce con insistenza parlando di welfare generativo, un approccio che prevede il passaggio da un sistema focalizzato sulla mera gestione delle risorse pubbliche e sul pagamento delle pensioni a un sistema centrato sulla personalizzazione delle prestazioni dell’Istituto, aumentando la capacità di andare incontro alle reali esigenze delle persone. Se non riaccendiamo e rendiamo efficace il dialogo intergenerazionale questo difficilmente può avvenire», ha affermato il presidente della Cei. A richiedere un cambio di rotta è anche Elena Beccalli, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore: «Viviamo un’epoca caratterizzata da forti polarizzazioni, povertà e marcato individualismo, dove a pagare il prezzo più alto sono le componenti più fragili della società – dai giovani alle donne, dalle famiglie agli immigrati. Queste nuove e crescenti forme di povertà chiedono di rivedere il modello di welfare state, non sufficiente da solo ad affrontare le nuove e molteplici disuguaglianze. Per questo appare necessario favorire forme di welfare society (o “civile”), all’interno del quale lo stesso terzo settore – agente fondamentale del rinnovato modello di welfare – subisce anch’esso una metamorfosi, passando dall’essere redistributivo a produttivo», ha affermato il rettore Beccalli.

 

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Da questo punto di vista «l’Inps funge da snodo centrale di un sistema articolato di prestazioni e servizi sociali per rispondere alle esigenze dei lavoratori, innanzitutto e delle imprese, delle donne, delle famiglie, dei pensionati garantendo loro accesso tempestivo e sicuro a tutele fondamentali come previdenza, sostegno nei periodi di disoccupazione, maternità e molto altro», ha ribadito il presidente Inps Gabriele Fava, docente all’Università Cattolica, campus di Piacenza. «Per quanto riguarda l’immigrazione, a mio modo di vedere, è possibile e auspicabile un’integrazione qualificata. Quindi, laddove oggi registriamo una richiesta o un fabbisogno del tessuto produttivo, in tal senso, se manca manodopera qualificata, la andiamo a intercettare e a integrare nel tessuto produttivo, in modo chiaro e regolare».

Un Paese, il nostro, che invecchia rapidamente e richiede meno timidezza sul tema da parte di tutti gli attori istituzionali. «Le dinamiche demografiche del nostro Paese sono chiare, c’è un progressivo invecchiamento dovuto alla denatalità e una riduzione della popolazione», ha specificato il presidente Istat Francesco Maria Chelli. «Gli anni che abbiamo davanti rappresentano una sfida senza precedenti perché mai in passato abbiamo dovuto misurarci con equilibri che vedono oggi sei anziani per ogni bimbo fino a cinque anni di età. La sfida si può vincere con l’inclusione, con più partecipazione e una maggiore permanenza nel mercato del lavoro: è l’unico modo per rendere sostenibile questa transizione per la nostra società, la nostra economia e soprattutto il nostro welfare». Un aspetto ripreso anche da Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, secondo cui «la metà della spesa sociale è per gli anziani, quasi tutta in termini monetari erogata da tanti enti che non si parlano, con forti disuguaglianze territoriali senza coinvolgere il terzo settore nella coprogettazione».

Ecco perché ha suggerito Alessandro Rosina, docente di Demografia all’Università Cattolica, «politiche familiari, migratorie, di contrasto agli squilibri generazionali e di genere, devono essere integrate tra di loro, all’interno di una coerente visione sistemica, e considerate parte centrale delle politiche di sviluppo del Paese. Perché non consentono solo di rispondere alla crisi demografica e all’invecchiamento della popolazione, ma nel contempo riducono le diseguaglianze sociali e territoriali. La società della longevità è sostenibile solo valorizzando il contributo di tutti e il benessere in tutte le età della vita». D’altronde, ha osservato Claudio Lucifora, docente di Economia politica all’Università Cattolica del Sacro Cuore, «nei principali paesi sviluppati, il ciclo di vita delle persone è accompagnato da una serie di servizi, da indennità, sussidi, che li segue dalla nascita alla morte. È il cosiddetto Welfare State che serve ad assicurare dagli eventi avversi, sia la malattia, la vecchiaia, la non autosufficienza, ma anche i bambini alla nascita, i più deboli, i più fragili tra gli individui e le famiglie. In Italia questo ruolo è svolto e assolto dall’Inps, che gestisce una serie di prestazioni previdenziali e socio-assistenziali per assicurare i rischi di individui e famiglie e ridurre le diseguaglianze».

Una riduzione delle diseguaglianze che però passa necessariamente da quel «dialogo intergenerazionale», richiamato dal cardinale Zuppi, e con cui concorda fortemente Elena Marta, docente di Psicologia sociale in Cattolica. «Dalle evidenze empiriche di ricerca emerge sia da parte dei giovani che degli imprenditori adulti una grande attenzione alla necessità di costruire un nuovo dialogo tra le generazioni a partire da quello tra imprenditori adulti e i giovani in una dinamica di scambio e arricchimento reciproco che possa valorizzare quanto viene portato dai giovani (in termini di competenze digitali per esempio) e non solamente nel rapporto asimmetrico di “capo-sottoposto”».

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