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La trasparenza aiuta la buona gestione dei beni ecclesiastici

15 dicembre 2022

La trasparenza aiuta la buona gestione dei beni ecclesiastici

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Il sistema che caratterizza il regime degli enti religiosi è “ad aquila bicipite”». Ricorrendo a questa immagine Andrea Bettettini, docente di Diritto canonico dell’Università Cattolica, ha inteso dire che l’ente ecclesiastico ha una sola sostanza, quella religiosa, che ne costituisce la ragion d’essere. Tuttavia, la sua capacità è anche civile e deve essere resa compatibile con la sua sostanza. Se nella “Unam Sanctam” Bonifacio VIII sosteneva che “unum corpus” dotato di “duo capita” era una realtà abominevole, “quasi monstruum”, «qui la duplicità è invece necessitata, richiesta proprio dalla specifica natura canonica e civile dell’ente». Per questo «l’ente ecclesiastico si trova ad agire in una delicata ponderazione fra norme generali di settore e norme che hanno in sé elementi di differenziazione rispetto a queste».

Insomma, un’intricata matassa di norme e relative interpretazioni da dipanare. Ed è quello che ha cercato di fare la giornata di studio sul tema “Il patrimonio degli enti ecclesiastici” che martedì 13 dicembre nell’Aula Bontadini dell’Università Cattolica ha riunito accademici esperti del tema e quanti ogni giorno si occupano della gestione dei beni della Chiesa. Il regime che li regola non vuole essere «privilegiario» (o, viceversa, «discriminatorio») riguardo ad altre libertà costituzionalmente garantite, come quella di associazione ma comporta, in ragione della loro natura religiosa, una tutela più analitica di quella prevista per gli enti in generale. Così, quando un ente ecclesiastico legittimamente agisce al di fuori degli ambiti di azione individuati e delimitati dalle norme di derivazione pattizia, la legislazione “speciale” viene meno, e l’attività da questo compiuta rientra nell’alveo del diritto comune. Le attività diverse da quelle di religione o di culto che l’ente, senza perdere la propria identità, svolge, sono sottoposte alla disciplina di diritto comune a tutte le persone giuridiche private.

Un tema delicato, dunque, quello dei beni degli enti ecclesiastici. Soprattutto quando emergono episodi drammatici di abusi e opacità nell’organizzazione e gestione delle strutture. Aspetto su cui ha richiamato l’attenzione il preside della facoltà di Giurisprudenza Stefano Solimano rilevando che «già da tempo la Chiesa italiana e le singole diocesi stanno compiendo un percorso di trasparenza della gestione avvalendosi della corresponsabilità dei laici nel prevenire reati in campo economico in reciproca collaborazione con lo Stato grazie alla riforma del Terzo Settore. La posta in gioco è alta: le odierne scelte di politica normativa e l’impostazione economica nel futuro avranno ricadute per la Chiesa e per il tessuto sociale e il welfare del nostro Paese».

Citando Papa Francesco, monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica, ha parlato di una gestione finalizzata a realizzare il dettato evangelico. «In Università emergono le competenze tecniche che consentono di gestire una materia complessa in modo appropriato alle istanze ecclesiali e pastorali con grande valenza educativa e formativa, secondo il compito di un ateneo cattolico». Ha poi collocato tale riflessione nel cammino sinodale - del camminare insieme - della Chiesa italiana come un invito a ripensare le strutture e i beni affinché siano coerenti nel loro utilizzo per la missione della Chiesa.

Un intento da inquadrare anche giuridicamente per individuare la normativa di riferimento a seconda delle attività, come ha affermato Luigi Bobba, presidente della Fondazione Terzjus.

Le due sessioni della giornata di studio hanno permesso di comprendere meglio i profili giuridici del patrimonio degli enti ecclesiastici, prendendo le mosse dalla realtà normativa esistente, alla luce della giurisprudenza e dai casi sempre nuovi che la Chiesa e la società pongono. A presiedere la prima è stato monsignor Giuseppe Baturi, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana. Dopo un richiamo scritturistico circa la condivisione dei beni e della carità, monsignor Beturi ha collocato la sua analisi dei beni temporali nella Chiesa nel campo dell’ecclesiologia, come suggerito dal teologo Congar. «L’uso dei beni e la loro condivisione appartengono alla testimonianza di Cristo. Ancora oggi la gestione dei beni è chiamata ad esprimere una testimonianza trasparente dell’amore a Cristo. La comunità cristiana è stata capace nel tempo di inventare forme nuove in rapporto alla coscienza di sé e del mondo. Si pensi a quanto hanno rappresentato il monachesimo e francescanesimo». Pertanto, «non possiamo non portare avanti una costante riflessione sui beni della Chiesa. Parlare di enti vuol dire parlare di comunità e realizzare la testimonianza missionaria nel mondo».

Si sono poi succedete le relazioni di Paolo Gherri, della Pontifica Università Lateranense, e di Antonio Carrabba, dell’Università degli Studi di Bari, che si sono concentrate sulla strutturazione e sulla destinazione del patrimonio degli enti ecclesiastici rispettivamente, nell'ordinamento canonico e in quello statuale. La terza e la quarta relazione si sono occupate dei due "profili patologici" di particolare attualità che coinvolgono, in modo diretto o indiretto, i patrimoni degli enti ecclesiastici. Il tema della responsabilità civile degli enti ecclesiastici, che nel mondo sta mettendo, a dura prova la tenuta patrimoniale di molte diocesi per via degli esiti dei processi ad ecclesiastici accusati di abusi ai minori, è stato affidato ad Andrea Nicolussi, dell’Università Cattolica. Mentre l’aspetto della recente riforma del Libro VI CIC, che ha ampliato e riformato i delitti canonici propri di coloro cui è affidata l'amministrazione dei beni ecclesiastici, è stato analizzato da Jesús Miñambres, della Pontificia Università della Santa Croce.

È toccato a monsignor Roberto Malpelo, dell’Ufficio nazionale per i problemi giuridici della CEI, che ha coordinato la seconda sessione soffermarsi sulla nuova normativa del Terzo Settore che tocca la vita ecclesiale e dei fedeli, offrendo opportunità ma anche rischi.

In particolare, gli interventi hanno specificatamente preso in esame quella porzione del patrimonio che gli enti ecclesiastici destinano allo svolgimento delle attività diverse da quelle di religione o di culto, siano esse di “interesse generale”, che ricadono pertanto nell’ambito del Terzo settore, o d’impresa. Con riferimento a tali porzioni patrimoniali si richiedono infatti particolari cautele e speciali accorgimenti per ciò che concerne gli aspetti contabili (ne ha parlato il dottore commercialista Marco Cotogni), tributari (analizzati da Marco Miccinesi, dell’Università Cattolica) e nel rivolgersi al mercato quali operatori economici (approfonditi da Andrea Perrone, dell’Università Cattolica).

Le conclusioni della giornata sono state affidate a una tavola rotonda dove hanno dialogato operatori che, con diversi ruoli, quotidianamente si occupano di patrimoni degli enti ecclesiastici. Tra loro, Michele Porcelluzzi, referente dell’Avvocatura della diocesi di Milano, Lorenzo Celi, vicario per i beni temporali della diocesi di Padova, e Marco Fossati, economo della Provincia Sant’Antonio dei Frati Minori. Un’occasione per far emergere i problemi in corso ma anche le prospettive future per continuare la riflessione e lo studio in questo ambito che ha sempre come obiettivo «proteggere, prevenire, formare e dare una traduzione giuridica alle esigenze nuove che si presentano».

 

Un articolo di

Agostino Picicco

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