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Se gli adulti non imparano ad ascoltare ragazze e ragazzi, lo farà l’intelligenza artificiale

21 ottobre 2025

Se gli adulti non imparano ad ascoltare ragazze e ragazzi, lo farà l’intelligenza artificiale

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Alle ragazze e ai ragazzi servono adulti capaci di ascoltare e stare in relazione. Se questo compito non lo assolveranno loro, lo chiederanno all’intelligenza artificiale (IA). Anzi lo stanno già chiedendo, parlando con Chat GPT. 

Sembra essere più chiara questa consapevolezza dopo la giornata di formazione Parole a scuola 2025, promossa lo scorso sabato 18 ottobre da Parole O_Stili, associazione che da anni si impegna a contrastare il fenomeno della violenza delle parole off e online, Università Cattolica del Sacro Cuore e Istituto Giuseppe Toniolo. Oltre duemila partecipanti, tra insegnanti, educatori, educatrici e famiglie, hanno avuto l’opportunità di riflettere sul ruolo educativo degli adulti in un tempo in cui la tecnologia offre risposte immediate, ma non relazioni autentiche. La scuola torna al centro come luogo di ascolto, incontro e responsabilità condivisa. 

A parlare della forza dell’education power e del suo ruolo come motore per una crescita inclusiva e solidale è stata in apertura dell’evento la rettrice dell’Ateneo Elena Beccalli: «Il legame tra studio, benessere psicologico, canali digitali, intelligenza artificiale è il tema sul quale riflettere quando pensiamo la didattica di domani. E un ponte tra le scuole primarie e secondarie e l’università può aiutare molto nel ripensare la didattica. Queste sono le ragioni che mi hanno portato a proporre un “Patto educativo” per le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale». Infatti, secondo la rettrice l’educazione può trarre benefici dalle nuove tecnologie quando queste fungono da mediatori, senza che esse diventino un fine in sé. «L’idea che l’IA possa essere considerata un sostituto del parere degli esperti chiama in causa il tema dell’autorevolezza delle autorità epistemiche, dei luoghi di formazione come le università e le scuole. Sappiamo bene quali sono i rischi che una propensione del genere comporta, primo tra tutti la perdita progressiva di fiducia nei confronti degli insegnanti, che potrebbero essere visti come mediatori di conoscenza ormai obsoleti. Il compito arduo degli educatori è, dunque, quello di assumersi l’onere di “guidare” e di aiutare le studentesse e gli studenti a sviluppare un senso critico e un’apertura mentale capaci di renderle cittadine e cittadini consapevoli». 
 

 

Utilizzare l’IA come un’opportunità per supportare, e non sostituire, il docente è la convinzione dell’onorevole Paola Frassinetti, Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Istruzione e del Merito che ha citato due termini: «Credo che “rispetto” sia la parola chiave per l’educazione dei nostri studenti fin dalla scuola dell’Infanzia. Per quanto riguarda il rapporto tra scuola e IA, penso che la parola più indicata sia “responsabilità” per guidare i giovani in questi processi cognitivi verso le innovazioni tecnologiche e digitali». 

Il mondo, infatti, oggi vive nell’universo digitale e non può più prescindere da esso. Mariagrazia Fanchi, direttrice dell’Alta Scuola Media, comunicazione e spettacolo dell’Università Cattolica, ha ripreso un’immagine emblematica di Marshall McLuhan. «L’aforisma “I pesci non sanno nulla dell’acqua fintanto che non incontrano l’aria” ci rimanda al mare della realtà virtuale in cui oggi siamo immersi costantemente. Per spiccare il salto fuori dall’acqua occorre ascoltare il nostro disagio all’interno di questo ambiente». 

L’ascolto è una delle parole emerse più volte durante l’apertura di Parole a scuola. In particolare, l’ascolto dei ragazzi e delle ragazze immersi nella loro “Netily” (network + family), come ha ricordato la presidente di Parole O_Stili Rosy Russo che si è domandata: «Noi sappiamo cercare lo sguardo dei nostri giovani, anche quelli che ci osteggiano e ci sfuggono ma che avrebbero bisogno del nostro abbraccio? Le ragazze, i ragazzi e il grande utilizzo delle chat di AI lo dimostrano: fanno lì le domande che non riescono a fare a noi. Parlano di amicizia, sessualità, futuro, visioni del mondo. Cercano ascolto e risposte perché spesso noi adulti non abbiamo tempo, abbiamo pregiudizi o semplicemente non sappiamo cosa dire. Quando forse basterebbe semplicemente "stare"».

Un monito alla scuola è arrivato dal professore di Informatica all’Università di Macerata e co-director del VRAI Vision, Robotics & Artificial Intelligence Lab Emanuele Frontoni che ha suggerito di diventare sperimentatori delle nuove tecnologie utilizzate dai giovanissimi e di non “umanizzare” l’IA rivolgendosi a essa come a un essere umano. La linguistica, alla base della programmazione degli strumenti digitali, è nelle mani dell’uomo che deve utilizzare la sua capacità critica e di discernimento, ciò che la macchina non potrà mai fare.

La scuola va difesa perché come ha ricordato lo psicologo, presidente della Fondazione Minotauro, e docente di Psicologia clinica dell'età evolutiva in Università Cattolica  Matteo Lancini, «un adolescente che non è a scuola è sempre in un posto peggiore». E ha continuato: «Non sono mai esistiti dei ragazzi così disposti a parlare agli adulti. I ragazzi di oggi cercano una relazione autentica e riconoscono molto di più un insegnante di un genitore o di uno psicoterapeuta».

La giornata ha ospitato duemila partecipanti, 40 panel e 130 speaker ed è stata l’occasione per riflettere, dati alla mano, sulla base di diverse ricerche realizzate quest’anno. A partire dalle indagini condotte da Ipsos per l’Osservatorio Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo.

La prima è relativa alle emozioni e ai valori degli adolescenti dalla quale si evince che essi vivono ogni giorno un conflitto silenzioso tra la paura costante di fallire, il bisogno urgente di essere riconosciuti nella propria complessità e la ricerca di alternative e spazi di speranza. 

La seconda ricerca riguarda l’intelligenza artificiale: uno studente su cinque la utilizza regolarmente per motivi scolastici, percentuale che raggiunge il 30% nella fascia d’età 17-19 anni.  La soddisfazione media nell’uso dell’IA è elevata e l’uso prevalente che i ragazzi ne fanno è legato alla comprensione dei contenuti.

Inoltre, lo studio “AI: tra informazione e formazione” di Osservatorio Opinion Leader 4 Future, Almed e Credem, su un campione di 500 soggetti, rappresentativo della popolazione italiana, evidenzia che le nuove generazioni dispongono potenzialmente di risorse e strumenti per sviluppare una cultura informativa innovativa, caratterizzata da un rinnovato senso critico, nonché da una significativa capacità di narrazione e interpretazione. Tuttavia, affinché tali potenzialità possano concretizzarsi, è fondamentale non solo investire nell'educazione digitale e informativa, ma anche rafforzare le competenze riflessive, analitiche e creative. Il 40% degli intervistati tra i 18-25 anni utilizza spesso l’AI per informarsi sull’attualità al posto di altre fonti con un approccio multifunzionale, proattivo e creativo. Mentre i target più maturi sembrano utilizzare l’AI semplicemente come un evoluto motore di ricerca, servendosene soprattutto per rispondere a ricerche specifiche, senza sfruttarne l’effettivo potenziale. Tra le azioni più frequenti e più gradite tra i giovani: approfondimenti tematici (60%); analisi con resoconti, grafici e tabelle (50%), sintesi ragionate (45%), dibattiti attraverso l’attivazione di un dialogo diretto con la piattaforma (42%). Questo approccio, se sviluppato e approfondito anche da parte delle realtà editoriali, potrebbe condurre a significativi sviluppi nell'ambito informativo. 
 

Un articolo di

Emanuela Gazzotti

Emanuela Gazzotti

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