Sul nesso tra giustizia e sostenibilità si è soffermato S. E. Mons. Adriano Cevolotto, Vescovo di Piacenza-Bobbio. Riprendendo l’enciclica Laudato si’, ha sottolineato che la crisi ecologica è anche una questione di giustizia: «Distruggere la natura non colpisce tutti allo stesso modo. I più poveri pagano il prezzo più alto». Da qui il suo invito a una “sobrietà consapevole”, capace di restituire equilibrio tra equità, fraternità e cura del creato.
Gherardo Colombo, già magistrato e presidente della Garzanti, ha condotto il pubblico in una riflessione profonda sul significato della giustizia costituzionale e sul bisogno di un cambiamento culturale. Partendo dall’articolo 3 della Costituzione, ha osservato come la storia dell’umanità sia segnata da pratiche di discriminazione che negano l’uguaglianza sostanziale. «Il diritto» ha affermato «è spesso costruito per mantenere il conflitto: ogni volta che diciamo “hai ragione” e “hai torto”, separiamo. Chiediamoci se questo funziona davvero».
Ha poi ricordato che il Codice penale italiano, eredità di un’epoca autoritaria, risente ancora oggi di una visione punitiva e disumana, soprattutto nel sistema carcerario. Da qui l’esortazione a ripensare la giustizia come ricomposizione, non come divisione: «mettere d’accordo, piuttosto che separare». Colombo ha valorizzato la giustizia riparativa come modello capace di restituire dignità e di ricucire le fratture sociali, invitando i giovani giuristi a “camminare con coerenza”, perché «il vero cambiamento richiede tempo e responsabilità condivisa».
Su questa stessa linea si è collocato l’intervento della professoressa Claudia Mazzucato, docente di Diritto penale, che ha interpretato l’espressione “abitare la giustizia” come un invito a viverla nella relazione con l’altro. «La giustizia» ha spiegato «non è solo giudizio, ma ascolto. Anche chi ha sbagliato deve poter ritrovare un luogo di riconoscimento e dignità». Ha richiamato esperienze di dialogo tra vittime e autori di reato, segno di una giustizia “abitata” e profondamente umana, in cui la legge si piega alla complessità delle storie individuali.
Nel dibattito finale, Mons. Cevolotto ha richiamato il valore della fraternità, mentre Colombo e Mazzucato hanno invitato gli studenti a non considerare la punizione come unico volto della giustizia, ma a immaginarla come incontro e responsabilità reciproca.
Numerosi gli stimoli e le domande arrivate dalla platea di studenti, segno di un interesse autentico verso una giustizia capace di farsi esperienza viva, non solo materia di studio.
Dal confronto tra voci e generazioni diverse è emersa un’idea condivisa: abitare la giustizia significa viverla ogni giorno, riconoscerla nei gesti, nelle parole, nelle relazioni. Non un concetto astratto, ma un luogo da costruire insieme, che sia aperto, umano, solidale e in cui i principi della Costituzione tornino ad essere ciò che sono nati per essere: una promessa di dignità per tutti.