Inciampando tra cronicità, scarsa prevenzione e stili di vita sempre più nordeuropei, l’Italia ha un volto sempre più vecchio (l’età media della popolazione, che è pari a 46,6 anni nel 2024 si stima raggiungerà i 50,8 anni nel 2050) e arranca spesso su facilità di accesso e qualità delle cure.
Gli anziani sono sempre più soli: il 40% vive questa condizione (1,3 milioni di uomini ultra 65enni e 3,1 milioni donne) e, circa 1,3 milioni over 75 anni, non ricevono un aiuto adeguato in relazione ai bisogni della vita quotidiana e alle necessità di tutti i giorni.
Dilagano le malattie croniche e, con queste, cala la qualità di vita delle persone. Ne è un esempio la quota di chi esprime un basso livello di soddisfazione per la propria vita, che quasi raddoppia in caso di una o più malattie croniche (multimorbilità): il 19,1% delle persone con cronicità si dichiara insoddisfatto, contro il 10,4% dei coetanei senza malattie croniche; analogamente accade per il grado di insoddisfazione del proprio tempo libero (36,1% vs 19,4%). Tra i più giovani fino a 44 anni l’impatto negativo appare ancora più marcato, con la quota delle persone insoddisfatte della propria salute che addirittura quintuplica in questa fascia di età.
La malattia cronica più diffusa è l’ipertensione: nel 2023 sono circa 11 milioni le persone che dichiarano di soffrirne, pari al 18,9% dell’intera popolazione (quasi uno su 5). Tra gli anziani si stima che una persona su due sia ipertesa.
Malattie croniche soprattutto femminili sono artrosi, artrite e osteoporosi, di cui soffre oltre una donna su 5 (22,6%), contro il 10,5% dei maschi. Nel complesso queste malattie colpiscono quasi 10 milioni di persone (16,7%), di cui circa 6 milioni 500 mila sono over 65 anni (46,3%).
Le cronicità sono figlie di cattivi stili di vita e poca prevenzione: gli italiani tentennano, infatti, sugli stili di vita, dall’alcol – dove la modalità principale di consumo è divenuta quella tipica del Nord Europa, caratterizzata da un consumo meno regolare, spesso concentrato nel fine settimana e associato a birra e superalcolici, con una diffusione del consumo occasionale passata dal riguardare il 41,2% della popolazione di 11 anni o più nel 2013, al 48,9% nel 2023; analogamente, è aumentato il consumo fuori dai pasti (da 25,8% a 32,4%) – al cibo. Infatti, gli italiani sono sempre meno fedeli alla dieta mediterranea: mentre il mondo guarda al modello mediterraneo come riferimento salutare e sostenibile, gli italiani sembrano progressivamente allontanarsene. Meno di un italiano su 5 (18,5%) resta davvero fedele alla dieta mediterranea. Nel 2023, il consumo quotidiano di frutta e verdura è dichiarato da circa otto persone su dieci. ma di questi solo il 5,3% raggiunge le 5 porzioni al giorno. Non sorprende quindi che quasi la metà degli italiani, il 46,4%, vive una condizione di sovrappeso o obesità.
Oltre al sovrappeso, c’è un’altra patologia metabolica che sta assumendo i connotati dell’emergenza sanitaria, specie se posta in relazione ai relativi costi sanitari: il diabete, che nel biennio 2022-2023 ha interessato circa il 5% della popolazione adulta di età 18-69 anni, ma probabilmente si tratta di una sottostima. La prevalenza di persone con diabete cresce con l’età, con valori pari al 2% nelle persone con meno di 50 anni, e quasi del 9% fra le persone di età 50-69 anni; si tratta di una patologia più frequente fra gli uomini rispetto che fra le donne (5,3% vs 4,4%), e nelle fasce di popolazione socio-economicamente più svantaggiate per istruzione o condizioni economiche (quasi del 16% fra chi non ha alcun titolo di studio o al più la licenza elementare, e valori pari al 9% fra le persone con molte difficoltà economiche). Ne consegue una spesa sanitaria non indifferente: infatti, si stima che nel 2022 il 15,1% della spesa annua sostenuta per l’ospedalizzazione di individui con patologie croniche (pari a 445,3 milioni di euro) si debba al diabete di tipo 2, mentre l’1,9% al diabete di tipo 1. Questo dato è aggravato inoltre dalla presenza di una significativa variabilità territoriale nell’organizzazione e nell’accesso ai servizi diabetologici, con la persistenza di disuguaglianze nell’assistenza legate a fattori geografici, socio-economici e organizzativi.
Quanto alla prevenzione, resta una ‘cenerentola’ italiana: la prevenzione secondaria delle malattie non trasmissibili continua a risentire in modo significativo dell’impatto della pandemia. Nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione svolte negli ultimi anni, i livelli di adesione agli screening oncologici riferiti nel 2023 sono rimasti inferiori a quelli del 2019 in molte regioni. Inoltre, persiste il marcato gradiente geografico, secondo cui le regioni del Nord mostrano un’adesione più elevata ai programmi organizzati (tra 58-67% a seconda del programma), seguite dal Centro (tra 43-56%) e dal Sud e Isole (tra 20-37%). Parallelamente, proprio nelle regioni del Centro e del Meridione l’iniziativa spontanea allo screening continua a risultare più elevata (tra 10-36% vs 6-24% nel Nord), definendo anche per il 2023 un quadro importante di disuguaglianze regionali nell’accesso ai servizi.
Il testo integrale del Rapporto Osservasalute 2025
È questa in estrema sintesi la situazione che emerge dalla XXII edizione del Rapporto Osservasalute (2025), un'approfondita analisi dello stato di salute della popolazione e della qualità dell'assistenza sanitaria nelle Regioni italiane presentata oggi a Roma all'Università Cattolica. Pubblicato dall'Osservatorio Nazionale sulla Salute come Bene Comune che ha sede presso l'Università Cattolica nel campus di Roma e coordinato dal professor Walter Ricciardi, Direttore dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute come Bene Comune, dal dottor Alessandro Solipaca, Segretario Scientifico dell’Osservatorio e dal professor Leonardo Villani, Associato di Igiene Generale e Applicata, UniCamillus - Saint Camillus International University of Health and Medical Sciences e Coordinatore dell’Osservatorio Nazionale per la Salute come Bene Comune. Il Rapporto è frutto del lavoro di 138 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano che operano presso Università e numerose istituzioni pubbliche nazionali, regionali e aziendali (Ministero della Salute, Istat, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale Tumori, Istituto Italiano di Medicina Sociale, Agenzia Italiana del Farmaco, Aziende Ospedaliere e Aziende Sanitarie, Osservatori Epidemiologici Regionali, Agenzie Regionali e Provinciali di Sanità Pubblica, Assessorati Regionali e Provinciali alla Salute).
La spesa sanitaria è insufficiente a fronte di crescenti bisogni della popolazione - Nel 2023, la spesa sanitaria pubblica pro capite nazionale è cresciuta dello 0,41% rispetto al 2022, raggiungendo i 2.216 euro, con un aumento medio annuo del 2,23% nel periodo 2013-2023. Nel 2023 la spesa sanitaria pubblica corrente si posiziona al 6,14% del PIL, valore che continua ad essere inferiore ai principali Paesi europei con sistemi di Sanità Pubblica, come ad esempio Finlandia e Regno Unito, i cui valori si attestano su 8,2 e 8,9, rispettivamente, e si mantiene al livello di alcuni Paesi dell’est Europa che stanno negli anni guadagnando terreno. La spesa sanitaria pubblica italiana resta, quindi, tra le più basse dei Paesi OCSE. Nel 2023, a livello italiano, la spesa sanitaria pubblica corrente per servizi forniti direttamente si riduce e passa dal 4,5% del PIL nel 2020 al 3,8% e continua a giocare un ruolo predominante, giustificando il 62% circa della spesa totale.
La percentuale contenuta di aumento della spesa sanitaria è destinata a diventare una riduzione se si valuta la spesa in termini reali cioè al netto dell’inflazione che è stata superiore, e pari al 5,7% nel 2023. Solo una valutazione comparata di spesa e LEA effettivamente garantiti permetterebbe di valutare se vi è stata o non vi è stata una perdita di tutela dei cittadini.
Il nostro Paese, nel 2024, ha speso complessivamente per la sanità 185 miliardi di euro, la componente finanziata dal settore pubblico si attesta a 137 miliardi di euro (74,2% del totale), sottolinea il dottor Solipaca. Il resto della spesa è stato sostenuto dalle famiglie, 41 miliardi di euro (22,3% del totale), dalle assicurazioni private, 4,7 miliardi di euro, e dalle imprese nell’ambito degli accordi relativi al welfare aziendale, 929 milioni di euro. Infine, una quota residuale di spesa sanitaria è stata sostenuta dai regimi di finanziamento volontari, 6,4 miliardi di euro, e dalle Istituzioni senza scopo di lucro, 698 milioni di euro.
Inoltre, aggiunge il dottor Solipaca, «la spesa sanitaria pubblica in termini reali (prezzi 2015) elaborata dall’Eurostat mette in luce un dato che, dal 2014 al 2019, è rimasto sostanzialmente stabile, con un aumento medio annuo dello 0,3%; nel periodo della crisi sanitaria causata dal Covid, la spesa è aumentata del 5,7% nel 2020 e del 4,3% nel 2021; tra il 2021 e il 2023 la spesa reale è diminuita complessivamente dell’8,1% (-4,4% nel 2022 e -3,9% nel 2023)».
La spesa pubblica nel 2024 ha impegnato circa 47,4 miliardi di euro per l’assistenza ospedaliera in regime ordinario, 4,6 miliardi di euro per l’assistenza in DH, 26,9 miliardi di euro per l’assistenza ambulatoriale per cura e riabilitazione, 14,1 miliardi di euro per la Long Term Care (LTC), 21,9 miliardi di euro per la farmaceutica, 7,7 miliardi di euro per la prevenzione e, infine, 12,7 miliardi di euro per i servizi ausiliari. L’assistenza ambulatoriale per cura e riabilitazione è la voce di spesa principale sostenuta dalle famiglie, che si attesta a 17,1 miliardi di euro, 15,4 miliardi di euro sono stati impegnati per l’acquisto di farmaci, 4,2 miliardi di euro per l’assistenza LTC e 2,7 miliardi di euro per l’acquisto di servizi ausiliari. Le assicurazioni sanitarie volontarie spendono 1,7 miliardi di euro per l’assistenza ambulatoriale, una quota molto elevata della spesa, mentre 2,1 miliardi di euro è impegnata per la governance e l’amministrazione del sistema sanitario e del finanziamento.
La dinamica della spesa dal 2019 al 2024 è caratterizzata da una crescita nominale media annua del 3,8% per la spesa di competenza pubblica e 2,2% per la quota sostenuta dalle famiglie. In crescita la spesa intermediata dalle assicurazioni sanitarie volontarie, aumentata in media annua del 7,9%, mentre l’incremento della spesa sanitaria sostenuta dal welfare aziendale si è attestato al 2,9%, tutto concentrato sui servizi per la prevenzione delle malattie. Aumenti significativi si registrano per le altre forme di finanziamento che compongono il conto della sanità: la spesa sanitaria sostenuta dai regimi di finanziamento volontari ha avuto un incremento medio annuo del 7,3%, mentre quella in capo alle Istituzioni senza scopo di lucro del 9,7%.
Il disavanzo sanitario nazionale 2023 si è aggravato rispetto al 2022, raggiungendo un livello di circa 1,85 miliardi di euro, corrispondenti a 31 euro pro capite. Disavanzi più elevati si erano registrati solo fino al 2012. Se si escludono le regioni a Statuto Speciale (tranne la Sicilia) e le PA, il disavanzo è pari a 833 milioni di euro.
Dopo la flessione del 2020, continua la ripresa della spesa sanitaria privata, che aveva caratterizzato tutto il decennio precedente. Il dato 2022 è di 735 euro pro capite, con un incremento del 5,76% rispetto al 2021 e un incremento medio annuo del 2,99% nel periodo 2012-2022. Di conseguenza, il rapporto tra spesa sanitaria privata e spesa sanitaria pubblica, che era pari a 0,30 nel 2011 e aveva raggiunto 0,34 nel 2019, per poi scendere nel 2020 a 0,29, si è riportato nel 2022 a 0,33.
Su base regionale, nel corso del 2023, la spesa sanitaria pubblica pro capite è leggermente aumentata in tutte le regioni, con crescite superiori all’1% solo in Basilicata (1,33%), Sardegna (1,08%), Molise (1,04%) e Calabria (1,02%).
Quanto al disavanzo, nel 2023 le regioni in equilibrio sono state soltanto 7: Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Lazio, Campania e Sicilia.
Anche la spesa per il personale, che rappresenta la risorsa cardine del sistema sanitario, è indice di un Ssn non in buona salute: nel 2022 ammonta a 38,9 miliardi di euro, il 29,9% della spesa sanitaria totale; nel corso degli anni l’incidenza della spesa dei redditi da lavoro dipendente sulla corrispondente spesa complessiva del Conto Economico è contraddistinta da una tendenziale diminuzione, passando dal 32,1% del 2013 al 29,9% del 2022. La diminuzione della spesa è, sostanzialmente, il risultato delle politiche di blocco del turnover attuate dalle regioni sotto Piano di Rientro e dalle misure di contenimento della spesa per il personale, comunque, portate avanti autonomamente dalle altre regioni. Infatti, a livello nazionale, nel 2022 il numero di medici e odontoiatri del SSN è stato di 107.777 unità, registrando una diminuzione del 3,9% rispetto al 2019, anno in cui le unità erano 112.146.
«I dati segnalano un progressivo deterioramento dell’equilibrio economico-finanziario e lo scenario futuro è discretamente preoccupante – afferma il professor Walter Ricciardi - in particolare sulla capacità del sistema di welfare di sostenere le fragilità di alcune fasce di popolazione, in particolare quella anziana». La spesa sociale destinata agli anziani è diminuita e non è uniforme sul territorio.
Preoccupa anche la spesa per la salute mentale che si attesta intorno al 3,5% della spesa sanitaria complessiva, tra le più basse in Europa, sottolinea il professor Villani. Tale sottofinanziamento incide sulla capacità di garantire uniformemente i LEA, aggravando il divario Nord-Sud ed isole e aumentando il peso economico sulle famiglie (circa il 23% dei costi totali).
La pandemia ha ulteriormente stressato il sistema, riducendo del 20% i ricoveri psichiatrici nel 2020 e generando un “effetto ombra” di sofferenza non intercettata. Per di più in questo contesto il disagio psichico è in aumento, soprattutto tra i giovani che hanno mostrato un incremento di disturbi d’ansia, dell’umore e del comportamento alimentare.
Non a caso l’analisi dei dati 2011-2023 conferma un aumento costante e sostenuto del trend di consumo di antidepressivi in Italia, con un’esposizione media di 47,1 DDD per 1.000 ab die e una spesa pro capite di 7,35 euro nel 2023.
Quanto ai ricoveri per disturbi psichici, se il periodo 2015-2019 è stato caratterizzato da stabilità dei tassi di RO (26-27 per 10.000 uomini; 24-25 per 10.000 donne), la pandemia ha rappresentato un punto di rottura: nel 2020 si è registrato un crollo (20 per 10.000 uomini; 18 per 10.000 donne), dovuto alle barriere di accesso ai servizi durante la crisi sanitaria, seguito da una lenta ripresa senza ritorno ai livelli pre-pandemici (22 per 10.000 uomini; 21 per 10.000 donne nel 2023). Questo quadro suggerisce un “debito di cura” persistente e una capacità ridotta del sistema di rispondere al disagio post-pandemico.
L’analisi dei ricoveri psichiatrici 2015-2023 evidenzia un sistema di salute mentale sotto pressione, con ampie disuguaglianze territoriali, generazionali e di genere.
È prioritario, alla luce dei dati presentati, ridurre le disomogeneità territoriali nell’accesso ai servizi, rafforzando l’offerta nelle regioni con tassi più bassi (Campania, Basilicata, Lazio) e affrontando eventuali barriere strutturali. È inoltre prioritario intervenire nella fascia 18–24 anni, che presenta i livelli più elevati di ricoveri (40 per 10.000) e un marcato gradiente Nord–Sud. Il persistere di tassi nazionali inferiori al periodo pre-pandemico richiede azioni volte a recuperare il debito di cura, potenziando l’accessibilità e la tempestività dell’assistenza.
I disturbi psichiatrici costituiscono una sfida prioritaria per la sanità pubblica globale, stante anche l’ampia diffusione dei disturbi d’ansia (prevalenza lifetime 15-30%) e della depressione maggiore (10-20%), seguiti da condizioni meno comuni ma a elevato impatto come il disturbo bipolare (1-2,5%) e la schizofrenia (0,5-0,8%).
Il testo integrale del Rapporto Osservasalute 2025 è disponibile sul sito http://www.osservatoriosullasalute.it/.