Cosa hanno in comune l’esecuzione di un brano jazz e le dinamiche operative di un team aziendale? Sembrano distanti, ma un elemento significativo le unisce: la capacità, attraverso l’improvvisazione, di gestire l’incertezza. Come è noto, l’improvvisazione è una caratteristica fondamentale nella pratica jazzistica, un dialogo al cui interno i musicisti interagiscono e si adattano in tempo reale a ciò che accade, dando vita a un fenomeno noto come “jazz interplay”.
Analogamente, i gruppi di lavoro nelle organizzazioni spesso improvvisano per adattarsi alle circostanze mutevoli, mostrando prontezza di pensiero, decisioni rapide e familiarità con le soft skill. Per improvvisare al meglio, accanto a queste abilità, è essenziale avere una solida padronanza delle tecniche specifiche.
Un musicista jazz deve padroneggiare scale, accordi e ritmi, nonché avere familiarità con le pratiche esecutive dei maestri, sia della tradizione sia della contemporaneità. Parimenti, per poter contribuire efficacemente al successo del gruppo e dell’intera organizzazione, i membri di un team di lavoro devono conoscere i processi organizzativi attraverso i quali l’azienda produce beni e servizi.
Fiducia reciproca e ascolto attivo costituiscono, infine, i due pilastri fondamentali del modo di ‘stare nell’incertezza’ che accomuna jazz e gruppi di lavoro. Infatti, così come i musicisti si affidano l'uno all'altro per creare armonia, nei gruppi di lavoro la fiducia è cruciale per condividere idee e agire in modo sinergico.
L'ascolto reciproco, poi, consente ai musicisti di integrarsi armonicamente, mentre nei team aziendali permette di comprendere le esigenze dei colleghi, riconoscere i loro punti di forza e debolezza e sviluppare una comunicazione efficace.
Questo, in breve, il contesto teorico che ha ispirato il progetto di ricerca presentato in occasione del convegno “Jazz, Comunicazione e Cultura” che si è tenuto presso in largo Gemelli lo scorso giovedì 8 maggio. Per la sua definizione siamo particolarmente debitori ai lavori di Alessandro Duranti e Kenny Burrell (2005) dell’UCLA e di Marco Mariani (2016), jazzista e docente dell’Università Bocconi. Duranti e Burrell hanno avviato lo studio della dimensione interattiva delle pratiche improvvisative nel jazz, fornendo preziose indicazioni metodologiche per un’analisi antropologica. Mariani ha evidenziato l'importanza per i manager, in situazioni ambigue e destrutturate, di riferirsi ai principi dell’improvvisazione jazzistica, traendo vantaggi significativi per profilare i ruoli di leadership, sincronizzare le attività dei collaboratori tramite ascolto e dialogo, valorizzare gli errori come opportunità e, infine, promuovere le diversità per stimolare creatività e innovazione.