«Formare teste pensanti, ma anche cuori sensibili in un’ottica di servizio verso la società e la Chiesa, per coltivare l'intelligenza del cuore e della mente» è con queste parole della Rettrice dell’Università Cattolica Elena Beccalli che Ernesto Diaco, Direttore Ufficio Cei per l’educazione cattolica, la scuola e l’università ha aperto il dibattito tra la Rettrice Beccalli e l'Arcivescovo di Torino Cardinal Roberto Repole, sul tema "Ritornare al cuore".
Un dibattito che ha concluso il Seminario di studio dei docenti di Teologia e degli assistenti spirituali dell'Ateneo di Padre Gemelli giovedì 11 settembre presso il campus di Piacenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha saputo concretizzare quell’interdisciplinarietà che Beccalli e Repole hanno richiamato nel loro intervento come presupposto centrale per l’apertura mentale (e di cuore) necessaria, oggi più che mai, per gestire efficacemente il cambiamento.
«Affidarci al Sacro Cuore è un’indicazione di metodo importante che ci arriva dalla nostra fondatrice Armida Barelli e che è il nostro tratto distintivo. Il cuore è nella nostra origine e ogni giorno siamo chiamati a rinnovare questa visione e a metterla in pratica», ha ricordato la Rettrice Beccalli, annunciando che uno dei pilastri del piano strategico dell’Università Cattolica per i prossimi anni è l’istituzione di una scuola di integrazione dei saperi «per essere un ateneo che sappia coltivare conoscenze che si pongono in dialogo».
«In questa stagione di grandi parcellizzazioni del sapere, si rischia di perdere lo sguardo trasversale; noi puntiamo a formare nuove generazioni capaci di sviluppare un pensiero integrale e di lungo respiro».
Partendo da queste sollecitazioni il Cardinal Repole si è soffermato sulla ricerca di senso che pervade le nostre vite «la crisi che viviamo sia individualmente che come società, nasce dalla mancanza di un orizzonte metafisico; l’egotismo che pervade le nostre vite significa frammentazione: il soggetto che si sente frantumato, in un individualismo espressivo che sembra senza soluzione; c’è un processo di deculturizzazione cui però non segue (come avveniva in passato) lo sviluppo di una nuova culturizzazione; così emerge una desocializzazione, con individui sempre più ripiegati su se stessi».