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Alla scoperta della “mente ostile”. Intervista a Milena Santerini

18 marzo 2021

Alla scoperta della “mente ostile”. Intervista a Milena Santerini

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L’odio è un sentimento pervasivo, che permea la società attuale e si manifesta sotto molteplici forme. Le persone hanno sempre espresso, a parole o in altri modi, la loro avversione e aggressività verso gli altri e oggi la diffusione di questi sentimenti negativi trova nel web e nei social network degli strumenti potentissimi. «Ma la mente umana non è programmata per odiare», spiega Milena Santerini, docente di Pedagogia generale dell’Università Cattolica e autrice del libro “La mente ostile. Forme dell’odio contemporaneo”.

«Ne parlo nel mio libro, la nostra mente è impostata per l'empatia. Ce lo dicono gli studi neuroscientifici sui neuroni specchio, ad esempio: noi ci riflettiamo nell’altro, siamo l'altro. Davanti all’altro si attivano nel nostro cervello delle aree che ci portano a imitarlo. La scienza quindi ci dice che solo una persona con molti problemi, con delle patologie, può essere contenta nel vedere soffrire l’altro o essere a suo agio con la crudeltà. Naturalmente però, appena c'è un contrasto, appena l'altro mi vuole portare via qualcosa, mi minaccia, appena c'è poco da mangiare e io devo dividerlo, ecco che la nostra empatia innata viene meno e si scatena la violenza, la guerra, il conflitto. Quindi l’uomo è naturalmente empatico, ma non per questo naturalmente buono».

Lo abbiamo visto in questo periodo di pandemia: quando ci sono difficoltà l'odio si moltiplica. Professoressa, quanto incide quindi la debolezza, la fragilità culturale, morale, economica delle persone?
«Gli aspetti che secondo me da questo punto vista incidono di più sono il risentimento, cioè la rivalità, il fatto che l'altro mi stia portando via qualcosa, mi stia sottraendo risorse scarse, e il meccanismo dell'ansia. Per esempio, si è potuto notare che i tweet di odio più aggressivi e cattivi coincidono con quelle zone d'Italia dove c'è più paura e, appunto, ansia per il futuro. L'ansia è un potente fattore di odio».

«Poi possiamo parlare fragilità anche a livello culturale, però i fatti ci provano che tra gli odiatori abbiamo profili di tutti i tipi, non sono necessariamente persone meno colte, ma che sicuramente provano questi sentimenti di ansia e risentimento. Un'altra caratteristica comune è che non hanno la capacità di trattenere impulsi. Nel mio libro descrivo i due sistemi che ci sono nella nostra mente: un sistema rapido, intuitivo, che è quello dell’agire subito e un sistema razionale, riflessivo, che pondera le cose. Queste persone probabilmente hanno sviluppato meno la parte riflessiva, tant'è vero che una delle cose che si chiede sul web è di pensarci due volte prima di essere così cattivi. Quindi è una fragilità forse anche da questo punto di vista: sono persone che hanno disinnescato la capacità morale che avrebbero di essere empatiche verso gli altri. Sospendono la visione morale dell'altro, è come se l'altro fosse disumanizzato, lo si può attaccare, gli si può dire di tutto, è come se non lo vedessero come persona».

Si può dire che ci vorrebbe un allenamento più costante della mente all’accettazione delle diversità. Come si può raggiungere questo obiettivo?

«Bisogna uscire dalla polarizzazione attuale, in cui dividiamo il mondo in bianchi e neri, noi e loro, italiani e stranieri, buoni e cattivi. Uscire da una polarizzazione anche politica, cercando di capire le ragioni dell'altro. Questo è un problema molto serio, non solo psicologico, ma anche e soprattutto sociale e politico, diffuso un po' in tutto il mondo. È un clima culturale che facilita il diffondersi di questo tipo di sentimenti, e certamente anche internet c’entra, seppur indirettamente».

Il web, infatti, è un ecosistema inquinato da una vera e propria propaganda di odio, che probabilmente non si arresterà mai e che è difficile combattere. Che cosa si deve fare affinché le nuove generazioni abbiano gli strumenti giusti per muoversi in questo spazio?
«Innanzitutto si deve creare uno spazio di riflessività morale, e questo vale per tutte le età, cioè uno spazio di pensiero, dialogo e confronto, in modo tale che appunto non si considerino gli altri come nemici. In secondo luogo, bisogna aiutare a passare dal sospetto generalizzato – cioè da quell’idea che porta al complottismo e alla cospirazione – al pensiero critico. Quello che si dovrebbe spiegare ai giovani di oggi è che non c'è qualcuno che ti vuole ingannare – perché sta cercando di farti vaccinare per esempio –, ma c'è qualcuno, ci sono dei gruppi di potere che vogliono che tu odi. Quello che i spiegherei ai giovani è che li stanno manipolando soprattutto quando dicono loro di odiare».

Per concludere, che iniziative ci sono internamente all'università Cattolica su questo tema?
«Le iniziative sono in particolare quelle di Mediavox, cioè l'Osservatorio sull’odio online che io ho un pochino promosso, all'interno del centro di ricerca sulle relazioni interculturali della facoltà di scienze della formazione. Con Mediavox, il 26 marzo (ore 16) facciamo un webinar nel quale ci concentreremo sulle risposte all’odio online, sulle possibilità di una contro narrazione».

Un articolo di

Alessandra Petrini

Scuola di Giornalismo

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