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Speranza: passione del possibile

10 aprile 2025

Speranza: passione del possibile

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Un pomeriggio di “gaia scienza” sulla speranza come poliedro, come attenzione per la cura, come passione del possibile e per il possibile. Così potremmo sintetizzare l’incontro di martedì 8 aprile organizzato dal Dipartimento di Sociologia attorno al volume Speranza. Passione del possibile (Vita e Pensiero) di Guido Gili e Emiliana Mangone. Un libro che – come ha sottolineato il preside della Facoltà di Scienze della formazioneDomenico Simeone – ci ricorda che la speranza non è solo qualcosa che accade nelle ma tra le persone, che possono alimentare il suo contrario (paura, diffidenza) o essere invece opportunità, capacità di “prendersi cura” dell’altro anche nei processi educativi, come ha sottolineato invece Lucia Boccacin, professoressa di Sociologia dei processi culturali, ideatrice dell'evento. A discutere del volume sono intervenuti Emanuela Mora, direttrice del Dipartimento di Sociologia - che si è soffermata in particolare sul capitolo dedicato alla pazienza - e Alessio Musio, professore di Filosofia Morale, che ha invece messo in relazione il concetto di speranza con l’alternativa tra dipendenza e controllo, ricollegandosi al tema del nascere, antropologicamente fondato sulla speranza. Di seguito riportiamo un estratto dall’introduzione al libro la cui genesi – come hanno ricordato gli autori –  si deve a Fausto Colombo, ricordato caramente da tutti i docenti presenti.      


15 agosto 1947. Viene proclamata l’indipendenza dell’India dall’impero britannico, con l’entrata in vigore dell’Indian Independence Act. In quel giorno – anche se funestato dagli scontri tra induisti e musulmani e dalla separazione dell’India dal Pakistan – raggiungeva il suo obiettivo la lunga lotta non violenta guidata dal Mahatma Gandhi, la cui filosofia basata sull’idea della ‘forza della verità’ aveva coinvolto milioni di persone in un movimento di disobbedienza civile e di resistenza di massa che aveva dato vita a grandi manifestazioni di protesta pacifica contro il governo colonialista inglese, come la Marcia del Sale.

28 agosto 1963. Durante la presidenza Kennedy, nel corso di una manifestazione per i diritti civili nota come la «Marcia per il lavoro e la libertà» a cui parteciparono più di 250mila persone e che si concluse davanti al Lincoln Memorial di Washington, il pastore protestante Martin Luther King pronuncia il discorso noto come I Have a Dream, diventato la bandiera della lotta contro il razzismo negli Stati Uniti.

9 novembre 1989. Migliaia di persone, alle prime confuse e non confermate notizie che la Germania Est stesse aprendo i suoi confini, si diressero in massa a piedi o in auto verso il Muro di Berlino travolgendo pacificamente le ‘truppe di frontiera’ della DDR che non poterono opporsi in alcun modo all’immensa folla che si stava lì radunando. Poco più di una settimana dopo, il 17 novembre e nei giorni successivi, un’altra grande folla si riunì in Piazza San Venceslao a Praga, senza che la polizia riuscisse a contrastare una protesta che diventava di giorno in giorno più vasta. È l’inizio di quella “rivoluzione di velluto” o “rivoluzione gentile” che portò alla caduta del regime comunista, alle prime elezioni libere e alla presidenza di Václav Havel, intellettuale esponente di punta del movimento Charta 77.

27 aprile 1994. Per il Sudafrica è il Freedom Day, il giorno della proclamazione della fine dell’apartheid. Dopo decenni di segregazione razziale, tutti i cittadini poterono partecipare alle prime elezioni a suffragio universale, evento che sancì la nascita della democrazia e portò alla trionfale elezione di Nelson Mandela come primo presidente del nuovo Sudafrica.

Aprile 1945. Anche nella storia italiana ci sono eventi e immagini simili. Due ali di folla accolgono festose l’ingresso delle truppe alleate e dei reparti partigiani nelle grandi città liberate del Nord Italia. L’anno precedente le stesse scene di esultanza si erano ripetute a Napoli e a Roma. A questi eventi seguirà la grande partecipazione popolare al referendum che porterà alla nascita della Repubblica (2 giugno 1946) e alle prime elezioni libere a suffragio universale del 1948.

A cura di

Velania La Mendola

Velania La Mendola

Vita e Pensiero

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Il filosofo Joseph Pieper, riprendendo un tema già presente in sant’Agostino, ha affermato, non senza ragioni, che «la speranza in senso stretto non può essere che l’atto di una persona». Tutti questi eventi, che i moderni mezzi di comunicazione di massa hanno consegnato alla nostra memoria attraverso immagini diventate memorabili, mostrano tuttavia che la speranza non è solo qualcosa che sorge, vive e deperisce ‘nelle’ persone, ma anche ‘tra’ le persone. Vi sono reti e correnti di speranza che in certi particolari frangenti storici diventano dei fiumi vastissimi e impetuosi che cambiano la storia di singoli popoli o dell’intera umanità.

Senza dubbio ognuna delle persone che ha partecipato a quegli eventi vi ha portato le ‘sue’ speranze. In che cosa sperava? Sperava che da quel giorno sarebbe sorto un mondo migliore e le cose sarebbero cambiate, sperava in una vita più dignitosa per sé e i propri figli, in un lavoro migliore, nella possibilità di potersi esprimere liberamente e senza timore e di poter partecipare alla vita politica. O tutte queste cose insieme. Certamente le speranze di un esponente dell’élite intellettuale indiana, da cui proveniva lo stesso Gandhi, erano diverse da quelle di un artigiano, un contadino o un paria, relegato in fondo alla scala sociale del grande Paese asiatico. […] Esiste infatti la speranza ed esistono le mille e una speranza degli individui e dei piccoli gruppi che si esprimono in mille e una forma e linguaggi. Ma in quegli eventi è apparso anche chiaro come le ‘piccole’ speranze particolari confluiscano e si intreccino con le ‘grandi’ speranze delle generazioni, delle classi, dei popoli. […]

La speranza è un’esperienza personale, ma è anche un fenomeno storico e sociale, dal momento che in certe epoche e in certi luoghi essa risorge prepotente, come è accaduto per esempio dopo la Seconda guerra mondiale, quando in molti Paesi, tra cui l’Italia, è iniziato un intenso periodo di elaborazione di nuove forme democratiche e partecipative, di accentuato sviluppo demografico, di ricostruzione economica, di forte mobilità orizzontale e verticale, grazie soprattutto all’investimento nell’istruzione. Non a caso, proprio durante la Seconda guerra mondiale e negli anni successivi, quasi a esprimerne lo ‘spirito del tempo’, sono state scritte o pubblicate varie opere – come Homo viator di Gabriel Marcel, Il principio speranza di Ernst Bloch, Vita activa. La condizione umana di Hannah Arendt, Umanesimo integrale di Jacques Maritain – che ponevano tutte al centro il tema della speranza. In altre epoche e in altri frangenti storici invece la speranza e la fede deviano e si corrompono, come è accaduto nelle esperienze storiche che hanno portato all’affermazione dei regimi totalitari. In altre ancora si assiste a un «collasso della speranza», per cui essa sembra sparire dall’orizzonte della vita sociale per lasciare il posto a stati d’animo di paura, di impotenza, di sfiducia e di rassegnazione. In questi momenti si smette di rischiare, di intraprendere, di creare e si vede il futuro non più come una promessa, ma come una minaccia. E le società nel loro insieme entrano in una fase di stagnazione e di decadenza, se non di vera e propria implosione.

Il Novecento ha visto un continuo alternarsi di speranze e paure, tanto che, mutuando una fortunata formula letteraria di Wystan Hugh Auden, la seconda metà del secolo è stata definita come L’età dell’ansia in riferimento a eventi come la crisi petrolifera seguita al conflitto dello Yom Kippur negli anni Settanta e la catastrofe nucleare di Chernobyl nella metà degli anni Ottanta. Anche i primi decenni del secolo che stiamo vivendo, drammaticamente inaugurati dall’abbattimento delle Twin Towers, dalle guerre che ne sono seguite e dalla crisi economico-finanziaria del 2008, non sono stati risparmiati da simili fenomeni, cosicché molti si sono riconosciuti nella definizione degli psicologi Benasayag e Schmit che, riprendendo un’espressione di Spinoza, hanno indicato questi anni come l’epoca delle «passioni tristi», un’epoca nella quale, soprattutto per chi è giovane, è difficile sperare.

Per questo conviene riprendere oggi il tema della speranza. In tanti vi si sono dedicati: filosofi, teologi, psicologi, antropologi, sociologi. Ma anche poeti, pittori e musicisti che hanno cercato di rappresentarla nelle forme dell’arte. Così come accade anche oggi nelle forme delle nuove arti, come il cinema. Anche se con accenti e sottolineature diverse, molti hanno detto che la speranza è un’esperienza che definisce la stessa condizione umana, non solo un desiderio, un’attesa o un sogno a occhi aperti. Infatti, tutti gli esseri umani sono portati – chi più chi meno – a sperare, perché senza speranza non si può vivere.

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