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Arte digitale e psicologia in dialogo

13 giugno 2023

Arte digitale e psicologia in dialogo

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Installazioni immersive site specific, dati e algoritmi dell’Intelligenza artificiale (AI), oggetti che si moltiplicano all’infinito e creano immagini in movimento, fregi e cartoni animati che prendono vita. L’arte digitale assume forme diverse e sempre nuove grazie all’aumentare progressivo del bagaglio esperienziale delle macchine.

Sono ancora molte le domande aperte su questo fronte a partire da quella circa l’attribuzione a una AI della creatività quale caratteristica umana per eccellenza.

Se n’è parlato lunedì 12 giugno in Università Cattolica durante il seminario “Arte digitale e psicologia in dialogo”, promosso dalla Facoltà di Scienze della formazione, dal dipartimento di Psicologia, dalle Unità di ricerca sulla Teoria della mente e in Psicologia dell’arte, e introdotto da Antonella Marchetti, direttrice del Dipartimento. Due ospiti esperti sono intervenuti all’incontro che ha tracciato il panorama attuale per capire a che punto è arrivato il dibattito: Ilaria Bonacossa, storica dell’arte e direttrice del Museo nazionale dell’arte digitale a Milano, e Vittorio Gallese, professore all’Università di Parma nell’Unità di Neuroscienze della Facoltà di Medicina e Chirurgia.
 


La psicologa della Cattolica Gabriella Gilli ha introdotto Bonacossa come “facilitatrice di cultura intorno all’arte”, che «tesse relazioni tra cittadini e arte contemporanea, laddove per lei i musei aiutano a pensare e sono uno strumento sociale importantissimo». La relatrice ha tratteggiato la storia dell’arte digitale che nasce, per così dire, negli anni Sessanta con l’internet art e le installazioni che reagiscono al contatto, ma prende il suo vero avvio negli anni Ottanta «quando gli ingegneri informatici creano un programma di pittura utilizzato dal pioniere dell’arte digitale Harold Cohen». E ora ci si chiede se questa AI sia uno strumento per creare arte o se sia anche il soggetto nell’arte.

Per la Bonacossa ci sono due tipi di AI, quella legata alla domotica e le macchine che imparano a fare di più e a correggersi con l’esperienza dell’apprendimento. Queste ultime pongono domande etiche sull’autorialità, sull’originalità e sul ruolo dell’artista. «E in Europa siamo ancora in un luogo felice perché c’è la privacy mentre in altri Paesi no».

Attraverso una carrellata di artisti e opere d’arte realizzate con l’AI Bonacossa ha mostrato le potenzialità di questi strumenti utili anche a esplorare la privacy e l’autenticità delle opere coinvolgendo chatbot e algoritmi, ma anche a esplicare funzioni educative open source.

L’arte digitale offre dunque molte opportunità nuove agli artisti, fornisce un nuovo soggetto da esplorare suscitando l’interesse del pubblico e crea programmi, piattaforme e soluzioni di vendita delle opere in un ambiente accogliente per giovani, appassionati e per i collezionisti. Ci sono anche alcune criticità messe in evidenza da Bonacossa, oltre a quelle legate alle questioni etiche e alla privacy, come le questioni di proprietà e autorialità dell’arte generata dall’AI, quelle relative alla creatività umana e quindi alla comprensione dell’identità dell’artista, e ancora i preconcetti (bias) incorporati negli algoritmi dell’AI.

Il nesso tra arte digitale e neuroscienze è immediato. Infatti, l’esperienza estetica dell’arte non può prescindere dai meccanismi neuronali che si attivano attraverso scariche elettriche tra i neuroni nel nostro cervello, dalle quali nasce l’esperienza e di qui il processo di simbolizzazione. Ne ha parlato Vittorio Gallese, presentato dalla psicologa Cinzia Di Dio che ha sottolineato le diverse proficue collaborazioni del professore con l’Università Cattolica e ha ricordato un volume in uscita  sulla robotica sociale in educazione, curato dagli psicologi Antonella Marchetti e Davide Massaro, in cui un capitolo scritto da Gallese, Di Dio e Gilli è dedicato ad arte, bellezza e NFT (Non Fungible Token).

Condividendo il pensiero di Bonacossa, Gallese ha spiegato come «l’esposizione a un certo modo di rapportarsi alla realtà traducendola in immagini (come quella di un dipinto), retroagisce e cambia il modo con cui guardiamo la realtà della nostra quotidianità. Ad esempio, io non guardo un fiore nello stesso modo dopo essere stato due anni in Giappone».

«L’esperienza estetica - ha affermato Gallese - è una forma mediata di intersoggettività dove i due soggetti sono il creatore e il fruitore. Noi siamo abituati a metterci di fronte e un’opera d’arte e guardarla e ciò che avviene nel nostro cervello è l’imitazione del quadro e simula la postura».

Infatti, ha continuato Gallese, «un elemento cruciale dell’esperienza estetica consiste nell’attivazione di meccanismi incarnati che comprendono la simulazione dei gesti, delle emozioni e delle sensazioni somatiche contenute nell’immagine». 

Il professore ha raccontato di aver realizzato un esperimento mettendo a confronto due opere d’arte astratte (Fontana e Paultre) e le loro riproduzioni digitali di fronte alle quali i fruitori dovevano fornire valutazioni comportamentali di intensità del colore ed emotiva, una valutazione estetica, il movimento percepito e il desiderio di toccare le opere d’arte. L’unica differenza significativa emersa riguardava il fatto che i partecipanti hanno attribuito punteggi più alti nei giudizi di emozione e tocco alle vere opere d’arte che alle loro riproduzioni digitali.

Si può quindi dedurre che c’è una relazione stretta tra tratti empatici, coinvolgimento corporeo e giudizio estetico anche nell’arte digitale.

Un articolo di

Emanuela Gazzotti

Emanuela Gazzotti

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