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Brand Urbanism, quando la pubblicità fa bene alle città

22 aprile 2021

Brand Urbanism, quando la pubblicità fa bene alle città

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«Vendere pubblicità è il nostro lavoro ma la nostra mission è rendere le città più accoglienti, confortevoli e godibili». Queste parole sono di Alessandro Loro, responsabile Innovazione e Comunicazione di IGPDecaux, numero uno nella comunicazione esterna in Italia.

Protagonista dell’ultimo incontro del ciclo “Gli scenari e le professioni della comunicazione”, condotto da Barbara Scifo, docente di Linguaggi e strumenti dei nuovi media, ha introdotto ai ragazzi della Facoltà di Scienze politiche e sociali alcuni concetti fondamentali della cosiddetta comunicazione Out of Home - la pubblicità presente all'interno e all'esterno di autobus e tram, in metropolitana e aeroporti, su pensiline, impianti digitali e affissioni e sulle tante soluzioni di arredo urbano - per entrare poi nel vivo delle attività di IGPDecaux, a cavallo tra concessionaria di pubblicità e media company, e parlare loro del Brand Urbanism.

«Sul mercato le concessionarie si occupano dell’offerta, mentre i centri media e le agenzie di pubblicità della domanda, incaricati dalle aziende di comprare pubblicità per loro conto» – ha spiegato agli studenti, evidenziando la differenza tra le concessionarie di proprietà, «soggetti giuridici che detengono gli spazi pubblicitari che la concessionaria porta sul mercato» e quelle indipendenti «che non ne sono proprietarie», come nel caso di IGPDecaux alla quale i Comuni e le aziende di trasporto locali affidano i loro spazi pubblicitari per la compravendita sul mercato.

Perché è più preciso parlare di comunicazione Out of Home e non di comunicazione esterna? «La parola Home indica una situazione domestica o familiare. Il termine Out of Home è più corretto rispetto a outdoor – spiega – perché ognuno di noi ha il suo concetto di esterno, che varia a seconda di dove ci troviamo in un determinato momento».

Quando parliamo di Out of Home, ci riferiamo dunque alla pubblicità in cui ci imbattiamo una volta che ci siamo chiusi la porta di casa dietro le spalle: quello che conta è il luogo e il momento in cui questo tipo di comunicazione avviene. Alessandro Loro fa osservare che in italiano usiamo il termine pubblicità, che significa rendere pubblico, concentrandoci sull’emittente. Invece gli inglesi, che sono molto attenti al linguaggio, chiamano la pubblicità advertising dal latino adverto che significa volgersi a guardare, focalizzando l’attenzione sul ricevente. «La pubblicità è una richiesta di attenzione – spiega – per l’esattezza uno dei mercati dell’attenzione, dove home e out of home rappresentano dei segmenti».

Diversamente da quanto avviene in casa, dove si può essere esposti contemporaneamente a più fonti informative, ma possiamo scegliere di evitarle, all’esterno questo non accade: «Fuori l’attenzione è involontaria, la pubblicità viene assorbita come parte dell’ambiente circostante ed è inevitabile, per forza di cose entra nel nostro campo visivo».  Ma la differenza più grande rispetto ad altre forme di comunicazione targettizzate, è che la pubblicità esterna non si rivolge a un individuo o alla famiglia, ma alle persone in quanto folla, a tutti indistintamente.

Dopo aver esposto ai ragazzi la mission dell’azienda – «IGPDecaux mira a sviluppare il mercato della comunicazione esterna senza inflazionarla, con l’obiettivo di soddisfare i clienti, ma anche le aspettative dei cittadini in termini di senso estetico e servizi di pubblica utilità» – ha parlato del rapporto tra brand e città.

«Siamo passati dal Brand purpose al Brand Activism. Alle persone – spiega – non bastano più che le marche evidenzino i loro buoni propositi attraverso la comunicazione, vogliono sapere in che cosa si traducono le loro idee per migliorare la qualità di vita, come giustificano la loro esistenza in termini di utilità sociale».

Importante è riflettere sul ruolo politico che assumono i brand e sul voto che noi cittadini diamo attraverso le scelte di acquisto: «Anche se non sono nati come istituzioni che devono garantire la democrazia alla fine i brand esplicano questa funzione».

Per il mercato della pubblicità urbana questo si traduce nel Brand Urbanism: attività sviluppate dai brand per portare beneficio alle città. «Questi interventi – racconta - possono essere light, ovvero di natura temporanea – in questo caso i cittadini hanno una funzione passiva: ad esempio la ‘sala da ballo’ realizzata da Nike nella stazione metropolitana di Porta Venezia a Milano dove tantissimi giovani si trovavano per allenarsi. Oppure heavy, entrando a far parte della città in modo stabile e stimolando un ruolo attivo nei suoi abitanti». Ne sono un esempio le colonnine per ricaricare il cellulare installate in modo permanente da Edison in alcune stazioni della metropolitana nel capoluogo lombardo.

Alla domanda se l’inserimento della pubblicità trovi una correlazione col significato di un determinato luogo oppure avvenga in maniera casuale risponde che al momento la pubblicità viene pianificata sul suolo urbano come se non ci fosse differenza tra un luogo e un altro. «Nei menù che proponiamo ai clienti – dice - gli impianti sono accostati o per ripetere sempre lo stesso messaggio o al più per costituirsi in discorso, ma trattare la città come mero spazio, e non come giustapposizione di luoghi, può essere uno spreco, un modo per depotenziare il mezzo, impedendogli di sprigionare/dispiegare possibili effetti di senso. Un manifesto che ha saputo scegliere il discorso giusto per il posto giusto, da solo può dire più cose di 100 manifesti ripetuti uguali in 100 luoghi diversi».

Un articolo di

Valentina Stefani

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