Non basta la presenza di cibo per attrarre la cimice asiatica. Serve anche un microclima favorevole, un habitat con condizioni di temperatura e umidità più adatte alla sopravvivenza di un insetto che nel 2020 ha provocato danni all’agricoltura per oltre 110 milioni di euro.
«Conoscere l’habitat preferito dall’insetto infestante è un’ottima arma per mitigare i danni alle colture» lo rivela una ricerca sul contrasto dell’insetto infestante appena pubblicata sulla rivista scientifica Internazionale Insects, dal Dipartimento di Produzioni Vegetali Sostenibili (DIPROVES) in collaborazione con il Dipartimento di Scienze animali, della nutrizione e degli alimenti (DIANA).
L’articolo, appena pubblicato a firma del gruppo di ricerca di Ilaria Negri e di Sergio Tombesi del DIPROVES e di Mario Barbato del DIANA, mette in luce che gli ambienti più secchi e caldi creano stress alle cimici che amano di più quelli freschi e umidi. Sono inoltre molto attratte dall’acqua, che bevono per reidratarsi.
«Questi risultati sono importanti non soltanto perché ci fanno capire che le fasce climatiche caratterizzate da aridità e alte temperature saranno meno a rischio di colonizzazione da cimici asiatiche – spiega la professoressa Ilaria Negri - ma fungono soprattutto da strumento guida per la gestione microclimatica all’interno delle colture stesse».
Infatti, anche a livello dell’ecosistema pianta, si possono avere microclimi molto differenti. Pensiamo alle differenze che ci sono tra la chioma e il sottobosco, ad esempio.
«Il microclima all’interno delle colture può essere modificato attraverso pratiche agronomiche come la potatura o l’irrigazione- sottolinea Sergio Tombesi – che potrebbero quindi aiutare nel rendere le piante meno soggette agli attacchi della cimice».
«I risvolti applicativi di questa ricerca sono dunque molto importanti anche in termini previsionali» – conclude Mario Barbato – «attraverso i modelli matematici sviluppati in questo lavoro possiamo prevedere quali saranno le aree a maggior rischio di infestazione di un determinato agroecosistema, e conseguentemente aumentare l’efficienza delle azioni di mitigazione».
Il lavoro è stato reso possibile grazie al progetto di ricerca triennale DEBUG, coordinato dall’Università Cattolica e finanziato dalla Regione Lombardia.