La città di Milano ha conosciuto negli ultimi anni una rapida diffusione di nuovi spazi di lavoro condivisi - noti come coworking - frequentati solitamente da liberi professionisti. La pandemia e le conseguenti misure di distanziamento fisico e contenimento del virus hanno avuto un impatto diretto su questi spazi che basano la loro attività sulla condivisione di postazioni e strumenti di lavoro. Per i gestori degli spazi nel corso dell’ultimo anno si sono aperte numerose sfide. Dalla risposta alle sfide emergono tendenze significative, che sembrano destinate a trasformare in modo durevole la scena e le prospettive degli spazi di coworking, generando nuove opportunità.
Come TraiLab (Transformative Actions Interdisciplinary Laboratory) dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, è stata svolta una ricerca empirica commissionata dal Comune di Milano - condotta dai docenti Ivana Pais, Cecilia Manzo, Alessandro Gerosa - e basata su interviste agli 87 gestori di spazi di coworking milanesi su un totale di 119 spazi mappati. L'indagine verrà presentata lunedì 15 marzo alle 11 durante il webinar "Lavorare vicino a casa, coworking e near working per la città a 15 minuti" a cui si potrà partecipare dalla web tv del Comune.
La ricerca mostra che la pandemia ha avuto un profondo impatto sugli spazi di coworking: il 57% dichiara di aver perso clienti nel 2020 e il 43% ha usato la cassa integrazione per i suoi dipendenti. Al momento delle interviste (tra ottobre e novembre) le postazioni occupate nei coworking erano pari al 63%, nonostante il fatto che il 48% degli spazi abbia dovuto comunque ridurre il numero di postazioni di lavoro disponibili al fine di garantire il distanziamento fisico tra gli utenti.
Tuttavia, i risultati evidenziano nuove opportunità anche per il futuro del coworking. Il 35% dei manager di coworking afferma che i nuovi clienti sono residenti del proprio quartiere. Questo nuovo flusso di utenti ha li portati a rivolgere l’attenzione al proprio quartiere e a ripensare il coworking come luogo di riferimento anche per il territorio circostante e per i suoi abitanti. Questa trasformazione va interpretata anche in connessione con il modello di città a 15 minuti, che sta emergendo come uno dei principali a livello di pianificazione per le città del futuro. Quello che emerge è un nuovo modello di “coworking di prossimità”, aperto ai cittadini e immerso in una rete di relazioni con altri spazi e attori locali.
Il 52% dei coworking manager dichiara di aver ricevuto richieste di postazioni o uffici da aziende, e il 37% da dipendenti privati. Da un lato, infatti, la pandemia ha portato migliaia di aziende e milioni di lavoratori a sperimentare per la prima volta il lavoro a distanza; dall'altra, ha favorito processi di ottimizzazione dei costi nelle piccole imprese, che in alcuni casi hanno significato anche chiudere la sede (di rappresentanza). Gli spazi di coworking hanno così iniziato ad accogliere le imprese alla ricerca di una nuova sede più flessibile, per beneficiare in misura maggiore rispetto al passato dei minori costi e delle potenziali collaborazioni aggiuntive con gli altri clienti. Anche i dipendenti che lavorano a distanza si sono rivolti a spazi di coworking per beneficiare di un ambiente di lavoro sicuro e in grado di offrire servizi essenziali per lo svolgimento della professione (come ad esempio connessione stabile, sala riunione, etc), a volte a spese dell'impresa e a volte a proprio carico.
La ricerca ha anche evidenziato altre tendenze significative emerse durante la fase di pandemia. La prima è il calo della domanda da parte dei clienti di contratti a lungo termine, che appare significativamente più pronunciato nei grandi spazi. Tuttavia, questa categoria ha almeno parzialmente compensato il calo cogliendo l'opportunità data dalla crescente domanda di soluzioni flessibili, offrendo alla clientela anche nuovi contratti giornalieri o part-time. I piccoli spazi - che hanno un numero limitato di postazioni di lavoro e hanno maggiori difficoltà a dedicarne alcune ad ingressi giornalieri o flessibili - non hanno osservato la stessa tendenza, continuando a fare affidamento principalmente su contratti più lunghi.
Altra tendenza importante è l'attivazione da parte di spazi di coworking di numerose iniziative attraverso piattaforme digitale, per dialogare con i propri utenti e mantenere vivo lo spirito di interazione e networking tra coworker, che da sempre caratterizza gli spazi di lavoro condivisi. Queste iniziative sono state attivate in particolare durante la prima fase di lockdown, spaziando da semplici momenti di convivialità online agli incontri con esperti per gestire al meglio le maggiori difficoltà di quella fase.
Questi fenomeni sembrano destinati a persistere ben oltre la pandemia e segnare il futuro degli spazi di coworking: il 40% degli intervistati considera la diffusione dello smartworking una grande opportunità per la crescita degli spazi, il 37% considera le aziende un target chiave per il futuro.
La ricerca suggerisce anche politiche per supportare il futuro degli spazi di coworking e dei loro utenti. Le misure riguardano tre diversi livelli: i territori, con attenzione a colmare le differenze in termini di infrastrutture che possono portare alla riproduzione delle disuguaglianze; spazi di coworking, che possono diventare nodi di reti che integrano servizi pubblici e privati; lavoratori, per sostenere quei dipendenti che ora pagano autonomamente i costi delle loro postazioni di lavoro e quei liberi professionisti che hanno abbandonato gli spazi di coworking perché la riduzione degli ordini non permette loro di pagare gli affitti.
La nostra ricerca dimostra che gli spazi di coworking dipendono dai beni collettivi locali (BCL) disponibili in un territorio - e questo spiega anche le scelte di localizzazione - e, al tempo stesso, rappresentano un BCL per il territorio in cui si insediano. Hanno tuttavia modalità di funzionamento e meccanismi generativi in parte diversi dai BCL tradizionali per lo più associati all’azione delle istituzioni pubbliche (autorità) o delle organizzazioni degli interessi (associazione), legandosi ad un modello di tipo “privato-collettivo”, dove privati investono proprie risorse per creare un bene che si è mostrato in grado di creare aggregazione attorno alla struttura e legame con il territorio.
La diffusione del lavoro da remoto in forma emergenziale ha portato gli spazi di coworking a riorganizzarsi per ospitare coworkers con caratteristiche e bisogni diversi: non solo liberi professionisti ma dipendenti e aziende. Durante l’emergenza pandemica i dipendenti hanno affittato postazioni per disporre di un luogo di lavoro sicuro fuori dalle mura domestiche. Interessante il caso di genitori che hanno usato la postazione a rotazione, alternandosi nei compiti di cura. Tra le aziende si rileva un passaggio da startup che affittavano postazioni e uffici in coworking in attesa di crescere e trasferirsi in una sede autonoma ad aziende in crisi che ricorrono al coworking a seguito processi di ridimensionamento.
È anche da rilevare che, durante l’emergenza pandemica, gli spazi in centro città hanno sofferto più di altri, mentre quelli delle aree esterne ai centri urbani si sono ripopolati più velocemente, proprio perché localizzati in quartieri residenziali. Questo rinforza la proposta di una città policentrica, dove ciascuna zona abbia gli strumenti per svilupparsi come un centro di vita sociale, culturale ed economica autonomo.
Se in passato gli spazi di lavoro condivisi venivano selezionati dai coworkers sulla base di specializzazioni professionali (coworking legati al settore digitale, al mondo dell’arte, all’industria cinematografica ecc.) oppure in funzione dei servizi offerti, ora emerge un nuovo spazio di lavoro che si propone come punto di riferimento per una comunità locale. Il coworking di prossimità non è solo uno spazio di lavoro dedicato a lavoratori che risiedono nello stesso quartiere ma generalmente si propone come hub multiservizi a favore del territorio, mettendo a disposizione le competenze professionali dei coworkers, oltre a servizi di tipo culturale (per eventi, spettacoli ecc.) e sociale (assistenza a bambini e ragazzi, servizi di portineria ecc.).
A fronte di un lavoro sempre più disperso, frammentato e digitale, questi luoghi possono riaggregare persone, interessi e idee. Possono trasformare un’area residenziale in una comunità locale più o meno strutturata e, eventualmente, i suoi abitanti in attori collettivi. È evidente peraltro che questa dinamica può anche determinare nuove tensioni a livello locale, legate a nuove forme di disuguaglianza e segregazione (tra territori e tra lavoratori), e come tale richiede un investimento progettuale intenzionale e la ricerca di nuove forme di governance a livello locale.
Prossimità, policentrismo e ibridazione: sono queste le tre parole chiave che caratterizzano la trasformazione degli spazi di coworking e che potrebbero aiutare a ridefinire la geografia del lavoro nei prossimi anni.