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«Il cibo non è solo merce»

08 luglio 2025

«Il cibo non è solo merce»

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In un’epoca segnata da turbolenze ecologiche, crisi alimentari e diseguaglianze crescenti, l'antropologia si propone come una bussola per comprendere il presente e orientare il futuro.
È con questo convincimento che il network di antropologia del cibo dell’European Association of Social Anthropologists ha riunito preso la sede milanese dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, il 1° e 2 luglio, un nutrito e qualificato gruppo di specialisti della materia.

Tra questi c’erano nomi di primo piano a livello internazionale, come Stanley Ulijaszek, professore emerito all’Università di Oxford, e Claude Fischler, direttore del Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi, ma anche studiosi come Jillian Cavanaugh del Brooklyn College di New York, Jonatan Leer della Örebro University in Svezia, Maxime Michaud dell’Institut Lyfe di Écully, nell’area metropolitana di Lione, Michal Nahman della University of the West of England, Susanne Højlund Pedersen della Aarhus University in Danimarca, e Andrea Pieroni dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.
 

 

L’evento nasce da una preoccupazione condivisa: quella di definire un comune indirizzo di ricerca per permettere all’antropologia di essere un sapere utile per affrontare le grandi sfide che si tratteggiano nel futuro del sistema agroalimentare mondiale: entro il 2050, infatti, la salute globale, la vivibilità dei nostri ecosistemi e la stabilità stessa dei nostri Paesi dipenderanno dalla solidità di un sistema oggi sempre più fragile e compromesso.

Da un lato, il cambiamento climatico mina le basi della sicurezza alimentare, provocando siccità prolungate che distruggono i raccolti e rendendo sempre meno pescosi mari e oceani.
Dall’altro, le disuguaglianze strutturali nell’accesso al cibo aggravano la crisi, permettendo che una minoranza sprechi alimenti mentre un’ampia parte della popolazione mondiale continui a soffrire la denutrizione.

Per non aggravare una situazione sempre più vicina al punto di non ritorno, non si deve smettere di trattare il cibo come semplice merce, oggetto di scambio, speculazione e profitto, dimenticando le sue dimensioni simboliche, sociali ed etiche.

Di fronte a uno scenario così drammatico, l’avvertimento lanciato dalla comunità antropologica riunitasi a Milano è chiaro: questo sistema di produzione e consumo del cibo non è più compatibile con la vita sul pianeta, e le soluzioni basate unicamente su tecnologia e mercato appaiono insufficienti. È insomma necessario un cambio di paradigma.
In questo contesto, l’antropologia si offre come una risorsa preziosa per la società: perché ci ricorda che il cibo è sentimento e non solo carburante; che il cibo locale non può diventare solo una bella etichetta per operazioni di marketing rivolte a pubblici elitari; che dietro alla preparazione degli alimenti ci sono storie di comunità che si prendono cura di se stesse e, al proprio interno, dei più fragili; che il patrimonio alimentare è vivo e quindi sempre in trasformazione, aperto a migrazione, innovazione, sperimentazione; e infine – ma forse prima di tutto – che bisognerebbe puntare non solo alla sostenibilità, ma alla più ambiziosa rigenerazione, valorizzando quei metodi di coltivazione e allevamento capaci non solo di evitare danni all’ambiente, ma anche di rivitalizzare interi ecosistemi.

Nella due giorni di workshop è stata sottolineata non solo la necessità di cambiare strada, ma anche l’urgenza con cui dovremmo farlo. 
«Siamo in un momento della storia del cibo in cui possiamo contemporaneamente sperare in un mondo migliore o perdere ogni speranza», ha detto Stanley Ulijaszek al termine della sua relazione.

«Dobbiamo prendere atto di questo fallimento, per cambiare», gli ha fatto eco Claude Fischler, l’altro keynote speaker dell’incontro, a margine del convegno.

Per questa ragione, il contributo degli studiosi che hanno partecipato al meeting sarà raccolto in un documento che, approvato dalla comunità antropologica, sarà reso pubblico in ottobre.
Il Manifesto AnthroFood2050 – questo il suo nome – intende partire dall’analisi delle cause che hanno generato la crisi attuale, per stabilire un’agenda, una piattaforma di idee e pratiche da condividere con ricercatori, agricoltori, consumatori e politici, allo scopo di costruire sistemi alimentari non solo più efficienti, ma anche più giusti, gioiosi e rigenerativi.

«Quello che è iniziato il 1° e 2 luglio è un percorso di condivisione scientifica e lavoro per il cambiamento e il progresso», ha sottolineato Michele F. Fontefrancesco, professore associato all’Università Cattolica del Sacro Cuore, esperto di sviluppo locale, food systems e valorizzazione del patrimonio culturale, organizzatore dell’evento. Non nascondendo infine una certa soddisfazione: «AnthroFood2050 ha messo sotto i riflettori l’antropologia del cibo e ha portato il pensiero scientifico italiano al centro del dibattito europeo. Non è un caso che questo workshop sia stato organizzato in un ateneo di eccellenza come la Cattolica, e in una città come Milano, da sempre un laboratorio in cui ricerca, imprese e comunità si intrecciano».
 

 

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Redazione

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