NEWS | Milano

Il destino della verità nel mondo iper-mediatizzato

30 marzo 2023

Il destino della verità nel mondo iper-mediatizzato

Condividi su:

La pandemia ha cambiato radicalmente il modo di comunicare, sia con i mezzi tradizionali che con i social. È attorno a questa affermazione che si è sviluppato il dibattito “Fra ‘Iatrodemia’ e ‘Parresia: il destino della verità nel mondo iper-mediatizzato che ha inaugurato il ciclo ALMEDIncontra, una serie di eventi per analizzare i nuovi scenari della comunicazione e le sfide che ne derivano. L’evento, moderato dal professor Massimo Scaglioni, docente di Storia e Economia dei media all’Università Cattolica, e introdotto dalla professoressa Mariagrazia Fanchi, direttrice dell’Alta Scuola in media, Comunicazione e Spettacolo, ha affrontato in particolar modo le conseguenze mediatiche che la pandemia degli scorsi anni ha portato con sé.

«Durante il periodo Covid – sostiene Fausto Colombo, docente di Teoria e tecnica dei media all’Università Cattolica – i governi hanno deciso di affidarsi ai pareri della scienza consolidata e le decisioni politiche sono dipese dalle valutazioni degli scienziati». È qui che si innesta il concetto di “parresia”, intesa come il diritto e al tempo stesso il dovere di dire la verità. Come sottolinea Colombo, «la pandemia ha visto lo scontro di due verità: quella della comunità scientifica e la contro-verità, la verità antiscientifica che per principio rifiuta i dogmi scientifici».

In tal senso, il ruolo dei media è stato – ed è tuttora – cruciale nel veicolare l’una e l’altra verità di cui parla il professor Colombo. La televisione, in particolare, è tornata a essere il medium di riferimento, ma soprattutto una fonte alla quale fare riferimento per farsi raccontare e spiegare cosa stava avvenendo. Per la professoressa di comunicazione interculturale Anna Sfardini, la tv è diventata un’istituzione grazie ai bollettini giornalieri, ai vari telegiornali e ai talk show. Sfardini individua diverse retoriche tipiche dei talk show in tempo di pandemia: «Ci sono i talk ‘impegnati’, che hanno una funzione di denuncia, ma ci sono anche quelli che mirano a una funzione pedagogica e quelli che invece utilizzano toni più forti per arrivare alla pancia degli spettatori». Come spesso accade, la soluzione vincente sta nel mezzo: «Il modello di riferimento dovrebbe essere basato su una comunicazione sostenibile, che aspiri al bene comune per la società».

“Iatrodemia. Vizi e virtù dei medici in TV” è il titolo del libro che Paolo Nucci, professore di oculistica all’Università degli Studi di Milano e trent’anni di esperienza nel servizio sanitario, ha scritto insieme a Massimo Scaglioni. Iatrogeno si dice di un danno causato da un intervento terapeutico: allo stesso modo, la sovraesposizione dei medici nei talk show ha provocato un effetto opposto a quello desiderato, cioè la perdita di fiducia nei confronti dei rappresentanti della medicina. «Noi medici siamo partiti come degli eroi, per poi venire fuori come degli arroganti, presuntuosi e vanitosi. L’obiettivo di un medico è anche quello di fidelizzare il paziente – riflette Nucci – e ci siamo trovati a dovervi ammaliare giocando il ruolo del primo attore in televisione, senza convincere nessuno». Per questo, la prima regola di buona comunicazione che il libro intende dare è evitare il conflitto con i colleghi. «Spesso i nostri congressi sono animati dal conflitto, ma sono contesti in cui abbiamo un’armatura adeguata. In televisione, invece, vince chi affabula meglio e ne esce perdente la medicina».

In rappresentanza dei talk show è intervenuto Alessio Lasta, giornalista di La7 e autore del primo reportage da un reparto di terapia intensiva, a Cremona. Un’esclusiva mondiale andata in onda in 43 Paesi. «La mia priorità è stata quella di raccontare e credo che il giornalismo, soprattutto nel tempo della pandemia, avesse la necessità di raccontare anche quando le immagini erano molto dure e quando le parole erano difficili da trovare. C’è un’etica del racconto del dolore – prosegue Lasta –, significa non affrontarlo con atteggiamento pietistico e cercando di non farsi schiacciare». 

Un articolo di

Niccolò Longo e Matteo Galié

Scuola di giornalismo

Condividi su:

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti