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Il sogno di padre Dall’Oglio: la convivenza fraterna tra cristiani e musulmani

09 ottobre 2023

Il sogno di padre Dall’Oglio: la convivenza fraterna tra cristiani e musulmani

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«Oggi non si vuole semplicemente presentare un libro ma fare memoria viva dell’impegno di padre Paolo Dall’Oglio per un progetto di convivenza fraterna tra cristiani e musulmani a partire dalle sue intuizioni che offrono interrogativi su una fraternità difficile ma sempre più necessaria». Con queste parole la editor Elena Bolognesi ha avviato l’incontro svoltosi il 5 ottobre in Università Cattolica in occasione della presentazione del volume “Il mio testamento” edito dal Centro Ambrosiano, contenente conferenze inedite di padre Paolo Dall’Oglio, gesuita e fondatore della comunità monastica di Deir Mar Musa in Siria. È a questo monastero che lega il suo nome, avendone scoperto le rovine nel deserto siriano. Dopo essere stato ordinato prete nel 1984 iniziò il restauro del monastero e diede vita all’esperienza monastica nel segno dell’inculturazione in dialogo con l’Islam. Dedicò la sua vita a questo sogno, alla pace e al processo di democratizzazione di quello stato ma, per questo suo impegno, il 29 luglio 2013 venne rapito e non si sono avute più sue notizie.

Sostenuti dalla speranza che sia ancora in vita, il suo progetto continua e di questo è stata data ampia testimonianza negli interventi che, moderati da Elena Bolognesi, traduttrice del volume, si sono succeduti per far meglio conoscere il profilo di padre Paolo, il suo pensiero, i termini del suo impegno ecumenico e le ricadute concrete.

Non a caso questo incontro si è svolto il giorno dopo in cui la Chiesa celebra san Francesco d’Assisi, considerando i vari profili francescani che sono nell’opera di padre Paolo: il primo aveva restaurato la chiesa di san Damiano, il secondo il monastero di Mar Musa, ma non si tratta, nell’uno e nell’altro caso, di restaurare mura ma di una ricostruzione più generale «finalizzata a svolgere attraverso l’ascolto della Parola quel discernimento in vista dell’obbedienza all’azione dello Spirito Santo», come ha evidenziato il moderator curiae monsignor Carlo Azzimonti, intervenuto a portare il saluto dell’arcivescovo Mario Delpini a Roma per il Sinodo.


Un impegno, quello di padre Paolo che, a dieci anni dalla strage di migranti a Lampedusa, sollecita una riflessione sulle persone che chiedono aiuto, accoglienza e ospitalità. «Con il dialogo si entra nel mondo dell’altro, accettandolo, nello spirito di costruire ponti che ci possano avvicinare senza pregiudizi e odio», come ha affermato la professoressa Cristina Castelli, direttrice del Master Relazioni d’aiuto in contesti di sviluppo e cooperazione nazionale ed internazionale, che ha dato il saluto a nome dell’Ateneo.

A offrire le linee guida del volume è stato il curatore, il giornalista Luigi Maffezzoli, il quale ha evidenziato come padre Paolo sia rimasto gesuita, fedele e credente in Cristo, innamorato dell’Islam che ha saputo accogliere facendosi arabo più che imparando solo la lingua araba. «Per questo è entrato nel cuore profondo delle persone, ha difeso gli aspetti più conflittuali presenti in Siria e dintorni, ha operato perché i musulmani possano scoprire il volto dell’accoglienza dei fratelli cristiani». Ha poi raccontato come padre Paolo abbia esultato quando fu eletto papa Francesco con il suo messaggio di rinnovamento ecclesiale basato sulla povertà e sullo spirito ecumenico di Assisi. Così nel giugno del 2013 rivolse un appello al papa per la pace in Siria. Un mese dopo fu rapito. La prefazione che papa Francesco, con pronta disponibilità, ha scritto al volume rappresenta la risposta a quell’appello.

Sul percorso negli anni giovanili di padre Paolo ha dato la sua testimonianza la sorella Francesca Dall’Oglio, raccontando della loro famiglia numerosa che viveva una dimensione della fede molto forte e qui il giovane Paolo aveva maturato l’attenzione agli altri, grazie anche all’esperienza scout, all’aver voluto frequentare la scuola pubblica, all’aver lavorato in un cantiere navale per comprendere la vita degli operai. «Il dramma maggiore è non sapere se sia vivo o morto, noi confidiamo che sia prigioniero, lui sapeva che rischiava la sua vita ma era disposto sempre al perdono senza cedere sul fatto che bisogna difendere e tutelare i più deboli».

“Per me Paolo è vivo”, ha risposto Izzedin Elzir, imam di Firenze, e ha proseguito: «Oggi, se pensiamo alle guerre sante – che sante non sono perché le guerre sono sempre sporche – comprendiamo di quanti pregiudizi dobbiamo ancora liberarci in vista del cammino di convivenza e di fraternità».

A chiudere l’incontro è stato padre Jihad Youssef, superiore della Comunità monastica Deir Mar Musa, il quale ha raccontato del “giardino dell’armonia”, con una cappella che, nel sogno di padre Paolo, doveva essere affiancata da una moschea, poi la gente ha protestato e non è più stata costruita. Il messaggio è che chiunque sale al monastero è amico di Dio. «Ospitalità è uscire da noi stessi, accogliere gli altri. Dialogare con l’islam è difficile, impegnativo, esigente, ma è dinamico, mi spinge a capire la mia fede, ad approfondire il mistero della salvezza, a conoscere le bellezze e i problemi dell’altro. Non si tratta di dare loro del cibo dopo il Ramadan ma di bussare alla porta delle loro case e dare la nostra amicizia».

Dialogo, accoglienza, fraternità, comprensione, abolizione di pregiudizi: un cammino lungo, difficile, impegnativo ma padre Paolo Dall’Oglio ha dimostrato che è un sogno che può essere coltivato e può diventare realtà. La sua memoria e la sua vita, ovunque sia, è segno che sia possibile.

Un articolo di

Agostino Picicco

Agostino Picicco

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