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La gentilezza, uno stile che deve caratterizzare ogni uomo che si adopera per il bene comune

06 dicembre 2021

La gentilezza, uno stile che deve caratterizzare ogni uomo che si adopera per il bene comune

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Il bene comune, il buon governo, l’attenzione fraterna verso gli altri possono essere più incisivi se proposti con lo stile della gentilezza? Sicuramente si, sull’esempio di sant’Ambrogio e con il conforto delle parole di papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti, che dedica un paragrafo alla “rivoluzione della gentilezza”: «La gentilezza è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere felici. […] Eppure ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza».

Ne è convinto l’arcivescovo di Milano Mario Delpini, il quale ha dedicato al tema “... Con gentilezza. Virtù e stile per il bene comune” il tradizionale “Discorso alla città” rivolto agli amministratori della cosa pubblica e ai cittadini ambrosiani il 6 dicembre, vigilia della festa di Sant’Ambrogio, nella basilica del Santo adiacente all’Università Cattolica.

Con grande chiarezza l’arcivescovo si è rivolto alle autorità civili e militari convenute per la festa patronale: “In questo nostro tempo confuso, di frenetica ripresa e profonda incertezza, che tende a censurare un vuoto interiore, chi ha la responsabilità del bene comune è chiamato a essere autorevole punto di riferimento con discorsi seri e azioni coerenti, con la saggezza di ricondurre le cose alle giuste dimensioni, di sorridere e di far sorridere”.

In questo servizio al bene comune particolare importanza riveste la lungimiranza: “Per guardare oltre l’immediato e individuare le vie da percorrere sono una grande risorsa i risultati degli studi, la raccolta dei dati e la loro interpretazione, la collaborazione tra le accademie e i politici, tra uomini e donne di esperienza e gli amministratori, tra persone di pensiero e chi deve formulare leggi e decisioni”. Tra le priorità che richiedono lungimiranza per condividere attenzioni e incoraggiare provvedimenti pertinenti, di particolare attinenza alla nostra vita universitaria e alle relative proposte culturali è l’attenzione al campo educativo per contrastare quella che papa Francesco ha chiamato «catastrofe educativa». In occasione dell’emergenza pandemica, ha detto monsignor Delpini, occorre offrire ai giovani buone ragioni per desiderare di diventare adulti: “Offrire una speranza è, infatti, la prima opera educativa e motivare la stima di sé è la condizione per convincere a intraprendere il viaggio della vita”.

Alle virtù già note per chi ricopre ruoli di responsabilità, quali onestà, discernimento, prudenza, soprattutto lungimiranza, l’arcivescovo suggerisce di unire uno stile che ha definito “virtù della gentilezza”, non intesa solo come “buone maniere”, ma come “la mitezza, la mansuetudine, la finezza nell’apprezzare ogni cosa buona e bella, la fermezza nel reagire all’offesa e all’insulto con moderazione e pazienza”.

Del resto, si concretizza con uno stile molto pratico che contrasta fermamente l’aggressività di linguaggi prepotenti, sgarbati, offensivi: “La gentilezza si esprime nel trattare gli altri con rispetto, nell’apprezzare il bene che si compie, nel ringraziare per il lavoro ben fatto”.

Insomma, persone serie e oneste con sé, con gli altri, con l’ambiente. L’arcivescovo li ha chiamati “artigiani del bene comune”. Un invito che riguarda anche chi abita il mondo della cultura e dell’accademia.

Se l’introduzione del discorso ha visto una citazione del papa, la conclusione è stata affidata ad un poeta, per sintetizzare con una immagine i ricchi contenuti del discorso: «abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento. Più che l’inno alla crescita ci vorrebbe l’inno all’attenzione. Attenzione a chi cade, al sole che nasce e che muore, ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato. Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza» (Cedi la strada agli alberi, 2017). Perché se “per aggiustare il mondo, tocca a noi, tutti insieme” (come monsignor Delpini disse nel discorso dell’anno scorso), ciò non va fatto con arroganza e presunzione ma con la gentilezza che conquista, che consola, che agevola il bene e può rendere il nostro vivere comune non solo solidale ma anche fraterno.

Un articolo di

Agostino Picicco

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