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Meg LeFauve e il lungo viaggio dentro di sé

30 aprile 2025

Meg LeFauve e il lungo viaggio dentro di sé

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«Anche le prime bozze dei migliori sceneggiatori vincitori di Premi Oscar sono state terribili. Tutte lo sono. Bisogna permettersi di non scrivere bene, e ritentare molte, molte volte». Tra i larghi sorrisi e il piglio professionale, la scrittrice Meg LeFauve ha offerto un prezioso consiglio a un’aula gremita di studenti lo scorso 29 aprile durante la open lecture intitolata “The long journey to Inside Out 1 e 2”. 

Già, perché scrivere è un lungo viaggio: «un buon film ha bisogno di molto, molto lavoro» proprio come quello che intraprende uno studente di sceneggiatura – ha detto il professor Armando Fumagalli introducendo l’incontro, preceduto dal saluto dell’assessore alla cultura della Regione Lombardia Francesca Caruso. «Open lectures come questa hanno una forte valenza ispiratrice e motivante».

La nota sceneggiatrice di Inside Out nel 2014 e del suo sequel Inside Out 2, che l’anno scorso ha sbancato al box office con un milione e settecentomila dollari di incasso (in Italia film più visto nel 2024, quinto di tutti i tempi, oltre che primo film d’animazione in assoluto), si è aperta davanti agli studenti del master “International screenwriting and production”, da oltre vent’anni anni fucina di talenti nel mercato nazionale e internazionale della scrittura per il cinema, la tv e l’editoria e della produzione audiovisiva, e del corso di laurea magistrale “The art of industry and narration: from literature to cinema and tv”, entrambi diretti da Armando Fumagalli. 

La sua storia professionale è cominciata con studi universitari sulla scrittura, sogni chiusi poi a lungo nel cassetto per il timore che nessuno fosse interessato a quello che aveva da comunicare. Così, si è dedicata per dieci anni a produrre Jodie Foster fino a quando ha deciso di lasciar uscire le storie che portava dentro di sé. Una scelta che l’ha ripagata di gran lunga con la candidatura all’Oscar per il primo Inside Out e con lo strepitoso successo del secondo capolavoro d’animazione del 2024. Si aggiungono alla sua carriera di sceneggiatrice i film Il viaggio di Arlo (2015), Captain Marvel (2019) e Il drago di mio padre (2022).
 

 

In Inside Out la storia di Riley ha affascinato e conquistato milioni di spettatori piccoli e grandi che hanno seguito la sua evoluzione fino al tempo dell’adolescenza. Un successo motivato dalla magistrale personificazione delle cinque emozioni (gioia, tristezza, rabbia, paura e disgusto) su cui tanto il regista Pete Docter (che ha diretto anche Monsters & Co, Up e Soul) con Josh Cooley (già regista di Toy story 4) e Meg LeFauve hanno lavorato insieme a una nutrita squadra di collaboratori. 

«Penso che come artisti e narratori il nostro lavoro sia quello di scoprire ed esprimere la condizione umana e l’esperienza caratterizzata da forza e fragilità al tempo stesso. E poiché noi spesso nascondiamo la fragilità, possiamo raccontare questa storia in modo divertente non sentendosi soli».

Ma come nasce un film d’animazione prodotto da Disney e Pixar? 

LeFauve ha mostrato parallelamente lo scorrere degli storyboard e dell’animazione per raccontare l’evoluzione della storia. Si scrive e si disegna, e solo dopo molto tempo si realizza il film. «Tutti sono narratori a pieno titolo. Come scrittrice mi affido davvero a quegli artisti dello storyboard che disegnano molte delle emozioni e delle azioni che io cerco di descrivere». 

Tutto si realizza all’interno della Pixar, anche le voci dei personaggi appartengono a persone che lavorano all’interno. Inside Out è stato girato sedici volte fino ad arrivare alla proiezione davanti a trecento persone dell’azienda: «E tu sei davanti a loro, i migliori registi e sceneggiatori, pluri vincitori di Oscar e pensi che faranno a pezzi il tuo film». E poi dalle osservazioni raccolte si ricomincia, si scrive e si riscrive di nuovo, perché la scrittura è iterazione. Al punto che «ti domandi a un certo punto se quello è ancora il tuo film».  

Scrivendo di emozioni una parte imprescindibile è l’immedesimazione e la comprensione di ciò che vive la protagonista. «Quello che ho cercato di fare scegliendo le cinque emozioni è portare la mia ricerca personale di mamma con un figlio con bisogni speciali che frequentava una scuola materna di intelligenza emotiva. Volevo insegnare a tutti i genitori a permettersi di vivere le proprie emozioni». Infatti, spesso da genitori si fa l’errore di desiderare solo che il proprio figlio sia felice ma questo può essere dannoso, perché si tende a sminuire le emozioni negative deviando l’attenzione sulla positività. Piuttosto è importante «sedersi nel proprio disagio per il fatto che il bambino è infelice, riflettere su quella sensazione. Puoi diventare un adulto senza sapere cosa significhi. Ma se non si elabora l’emozione negativa il corpo la trattiene e ne custodisce la memoria per decenni». 

E così, lavorando sulle emozioni, il team ha scoperto che la risposta nel film non era la gioia ma la tristezza perché la tristezza è ciò che unisce di più. Le persone incessantemente felici sono fastidiose…». E di nuovo hanno riscritto la storia.   

«Riley dice ai suoi genitori quando torna a casa “voi volete che io sia felice”. Ed è la stessa cosa che io volevo dire ai miei genitori quando avevo undici anni e non ho avuto il coraggio di farlo – ha continuato LeFauve –. Ma questo è il bello delle storie. I tuoi personaggi possono essere coraggiosi per te e dire la tua verità». 

Il film, nella top ten dei maggior incassi della storia del cinema e secondo film d’animazione in assoluto, ha il grande merito secondo la sua sceneggiatrice di aver cambiato la visione e la prospettiva di molti spettatori, genitori, psicologi, ragazzi: «Adoro il fatto che un film sulla connessione venga ora utilizzato per connettersi».

E poi è arrivato il sequel, nato e diretto da Kelsey Mann con l’idea di sviluppare il tema dell’ansia. Chiamata per sceneggiarlo, Meg LeFauve ha detto sì: «Lui è un ansioso e anch’io ho un’ansia molto volitiva dentro di me».

Protagonista indiscussa di Inside Out 2 l’ansia che aspetto ha? Come si manifesta? Come ti fa sentire? Quali sono le storie della nostra ansia? Qual è l’ansia dei nostri figli? Queste sono alcune delle domande che hanno guidato il lavoro di scrittura della nuova storia, come sempre insieme a una squadra, dove tra gli altri c’erano psicologi e una decina di ragazze tra i dodici e i sedici anni perché era importante che le adolescenti si sentissero come Riley. Molte delle emozioni prese in considerazione sono poi state scartate perché distruttive, come la vergogna, o la Schadenfreude (la gioia di vedere chi cade), o il senso di colpa. Sono invece rimaste l’invidia (che ti indica ciò che vuoi), la noia e l’imbarazzo.

«L'altra parte molto, molto importante di Inside Out 2 che penso sia la parte più profonda e di cui nessuno parla, è il sistema di credenze – ha spiegato la sceneggiatrice –. Sto parlando di ciò che credi di te stesso e del mondo. Se da piccolo hai preso una D in un compito di matematica, tua madre era davvero delusa da te e ora sei pessimo in questa materia, penserai di non essere portato per la matematica. Ma è veramente così? Alcune delle tue convinzioni sono vere, ma molte di esse non lo sono. Molti vivono tutta la vita basandosi su idee di se stessi non vere e senza farsi domande. Inside Out 2 pone questa questione. Sia Ansia sia Gioia condividono il volere un perfetto senso di sé per la loro bambina». 

E comunque Riley non può cambiare se stessa né per Gioia né per Ansia né per chiunque altro. La verità è che occorre accettare di essere un miscuglio di bene e male. 

«Una mamma che non conoscevo mi ha avvicinata per dirmi che sua figlia nel bel mezzo del film si è chinata e ha detto “mi sento così tutto il tempo”. Ma non sapeva che sua figlia soffriva di ansia». La potenza delle storie sta anche qui, nella sorprendente capacità di far dialogare le persone trovando la stessa frequenza per sintonizzarsi.

Un’ultima lezione da imparare da questi capolavori? «Quello che ho imparato è che la mia ansia non è qualcosa di cui vergognarmi, da eliminare o da denigrare. Lei non è cattiva, è lì per aiutarmi. Ecco perché la gioia è così pericolosa per l'ansia. Non puoi averli allo stesso tempo. Quindi, cerca la bellezza nella gioia e fai un respiro profondo».
 

 

Un articolo di

Emanuela Gazzotti

Emanuela Gazzotti

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