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Calore e siccità: una ricerca studia l'effetto combinato dei due stress sulle piante

08 maggio 2024

Calore e siccità: una ricerca studia l'effetto combinato dei due stress sulle piante

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L’obiettivo della sua ricerca è fornire un contributo affinché le piante possano resistere, adattandosi, allo stress che subiscono a causa del cambiamento climatico. Biancamaria Senizza, 29 anni, ha frequentato al campus piacentino dell’Università Cattolica il corso in Scienze e tecnologie alimentari, dopodiché ha proseguito il suo percorso alla Scuola di Dottorato per il Sistema Agroalimentare Agrisystem.

«Abbiamo fatto uno studio su piante arabidopsis, comunemente dette “Arabella” - dice Senizza - e abbiamo applicato alla pianta due tipi diversi di stress: da caldo e da siccità, valutando anche la combinazione dei due». La ricercatrice spiega infatti che i due fattori di stress compaiono spesso singolarmente negli studi scientifici, ma anche che, una volta combinati, meglio rappresentano le reali condizioni in campo, tanto più oggi che l'incidenza della siccità e delle alte temperature ha un impatto sempre maggiore. Nello studio è infatti rimarcato più volte il concetto di interazione dello stress, per il quale la combinazione di calore e siccità non è la semplice sommatoria dei singoli stress, ma produce un effetto unico, risultato di un'interazione multilivello che coinvolge metaboliti specializzati e un complesso rimodellamento dei fitormoni. 

Biancamaria Senizza«Si è utilizzata come pianta modello l’Arabella - continua Senizza - perché piccola e perché cresce velocemente. Caratteristiche che la rendono comoda per essere analizzata al fine di valutare gli effetti che gli stress hanno sul metabolismo della pianta. A Piacenza abbiamo analizzato ad esempio il metabolismo secondario, che riguarda la produzione di metaboliti, che variano a seconda delle condizioni a cui è sottoposta la pianta, a differenza dei metaboliti primari come carboidrati e proteine».

Durante la sua ricerca di dottorato, Senizza è stata anche al centro di ricerca Zalf, a Munchenberg, vicino a Berlino, presso l’ente tedesco coinvolto nello studio, dove ha approfondito l’uso di biostimolanti, nello specifico Trichoderma spp. Si tratta di un biostimolante che potrebbe essere efficace e rispettoso dell'ambiente per aumentare la produzione agricola e massimizzare l'efficienza nell'uso delle risorse, riducendo al minimo gli effetti ambientali sull'ecosistema. È quanto emerge dalla ricerca, coordinata dalla Facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali dell’Università Cattolica, svolta in collaborazione con il centro di ricerca tedesco, uno studio a cui si è dedicata anche la ricercatrice piacentina.

«I biostimolanti sono sostanze alternative ai fertilizzanti chimici - afferma - sono di origine naturale e consentono di aiutare la pianta nel contrastare gli stress. Possono supportarla nel ciclo di crescita e rappresentano qualcosa di meno impattante sul clima».

I risultati evidenziano come l’utilizzo di biostimolanti potrebbe essere un modo efficace ed ecologico per una produzione di cibo più sostenibile, in linea con le direttive imposte dalla Comunità Europea.

Un articolo di

Filippo Lezoli

Filippo Lezoli

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