Sono stata immersa in un percorso di Dual Career praticamente per tutta la mia vita. Fino ad oggi. Due mesi fa, a 33 anni, mi sono ritirata dal basket giocato. Da ex giocatrice di pallacanestro, da atleta olimpica e da campionessa del mondo nel basket 3x3, ma anche da psicologa dello sport, è difficile descrivere in poche parole quello che abbia significato per me portare avanti per tanti anni un percorso di questo tipo. Inizialmente è stata una Dual Career come tante altre, anche se a modo suo.
Ogni storia di uno studente-atleta è uguale e diversa da un’altra. È uguale per le sfide che ciascuno si trova ad affrontare: gli esami, la logistica, l’organizzazione, la frequenza alle lezioni, la gestione del tempo. È diversa per le caratteristiche personali e le risorse che ciascuno mette “in campo”, o che addirittura scopre di possedere durante questo percorso meraviglioso.
Giocavo a pallacanestro, frequentavo la scuola e poi l’università. Ed è stato proprio all’università che ho realizzato di custodire dentro di me anche un sogno professionale, oltre al sogno sportivo: fare la psicologa dello sport. Da quel momento in poi ho iniziato a muovermi verso quella direzione, con una determinazione e una motivazione che può profondere solo chi è mosso da una sincera passione. Così come accade nello sport.
Durante la laurea magistrale ho aderito al programma Dual Career dell’Università Cattolica. Poi mi sono iscritta al master che oggi si chiama Sviluppo del talento, professionalità e inclusione sociale nello sport. Interventi psicosociali. In questo modo la mia carriera da giocatrice e da studentessa proseguiva con una formazione specifica e continua. Era diventato quasi imprescindibile studiare e giocare contemporaneamente. Anzi, è stato il periodo in cui ho ottenuto i miei migliori risultati sportivi.
Dopo esame di abilitazione alla professione di psicologo e la conclusione di un secondo master, ho iniziato a lavorare come psicologa dello sport, senza mai smettere di giocare a basket. Ho fatto un anno di transizione, passando da un alto livello ad un livello che mi consentisse di continuare a giocare, ma anche di iniziare ad affermarmi professionalmente. Proprio in questo periodo, penso che si sia chiuso un cerchio: Chiara D’Angelo, coordinatrice del programma Dual Career dell’Università Cattolica, mi ha chiesto di entrare nell’équipe di psicologi dello sport che si occupano del servizio individualizzato di accompagnamento, orientamento e monitoraggio del percorso accademico, offerto agli studenti-atleti dell’ateneo.
Tutto ad un tratto, mi sono trovata letteralmente dall’altra parte, ed è stato per me un grande motivo di orgoglio. Grazie al percorso di Dual Career sono riuscita a preparare la mia transizione di fine carriera come atleta. Ma è grazie allo stesso programma se sono arrivata pronta a questo momento dal punto di vista psicologico, con un futuro professionale concreto e ben delineato. In momenti cruciali come questo, la doppia carriera è fondamentale.
Da un lato si conclude un ciclo di vita, quello come atleta, e dall’altro se ne apre uno totalmente nuovo. Arrivare a questo momento cruciale con progetti, con una professionalità, con una progettualità è fondamentale dal punto di vista identitario, e quindi del benessere psicologico di ogni atleta. In un’intervista dopo la sua ultima gara, Alex Schwarzer ha detto che chi è stato atleta una volta, resta atleta per sempre. Non c’è niente di più vero.