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In Cattolica si parla swahili

04 giugno 2025

In Cattolica si parla swahili

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«Hongera imara waà!», ovvero «Meglio di così non si poteva!». Si è concluso, venerdì 23 maggio, con le congratulazioni in lingua, gridate in coro dalla classe, il corso di swahili all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Una rarità nel panorama formativo italiano.

Lingua ufficiale di Tanzania, Kenya, Uganda e Ruanda, lo swahili è parlato in tutta l’Africa orientale. Negli Stati Uniti è insegnato in 100 università, tra le quali compaiono Harvard, Yale, Stanford. In Italia sono attivi corsi di swahili all’Orientale di Napoli, all’Università Cattolica del Sacro Cuore e in pochissimi altri istituti universitari tra i maggiori del Paese.

«Si tratta di un’opportunità preziosa per gli studenti, che ci viene invidiata anche da altri importanti atenei milanesi», assicura la professoressa Beatrice Nicolini, che in Ateneo insegna Storia e istituzioni dell’Africa presso la Facoltà di Scienze Politiche e Sociali e ha fortemente voluto questo insegnamento.

Il laboratorio di lingua e cultura swahili (confermato anche per il prossimo anno accademico, 2025-2026) è un’introduzione intensiva. Grazie a un metodo didattico innovativo e coinvolgente (40 ore di esercitazioni), gli studenti acquisiscono le basi grammaticali e il vocabolario necessario per affrontare conversazioni quotidiane. Non solo: il corso apre una finestra su usi, costumi, spiritualità e cultura contemporanea dei Paesi dell’Africa orientale.

Le lezioni sono tenute dalla professoressa Judith Mushi. Nata in Tanzania, in un piccolo centro ai piedi del Kilimangiaro, formatasi all’Università di Dar es Salaam – il principale polo economico e primo porto del Paese – dove si è laureata in sociologia, la professoressa Mushi ha ottenuto un PhD all’Università di Johannesburg, in Sudafrica. Alla Cattolica è approdata nel 2009, dopo essere arrivata in Italia nel 2005 dopo un matrimonio con un italiano.

Gli studenti sono entusiasti delle sue lezioni. Sabrina San Cristobal, 22 anni, dopo aver studiato spagnolo e russo alla triennale in Scienze linguistiche, ha scelto lo swahili per la magistrale in Relazioni internazionali: «Vorrei lavorare nelle Ong: conoscere lo swahili può fare la differenza». Davide Ottaviani, 23 anni, si è iscritto «spinto dalla curiosità più che da un progetto preciso», ma è rimasto affascinato. Beatrice Sala, che già parla russo e inglese, voleva «aggiungere una lingua completamente diversa per ampliare lo sguardo sul mondo». E Chiara Maria Birone, all’ultimo anno di Politiche per la cooperazione internazionale allo sviluppo, ha trovato nel corso un completamento naturale: «Voglio approfondire questa lingua, che è chiave di accesso per capire una parte rilevante di quel Global South a cui mi hanno indirizzato i miei studi».

«L’Africa è l’ombelico del mondo, il luogo nel quale siamo nati come specie, è quindi legato alle nostre origini. Ma al tempo stesso è anche un continente giovane, dove il 60% della popolazione ha meno di 20 anni: ci connette quindi non solo al nostro remoto passato ma anche al nostro futuro. I giovani in Italia e in Europa che si stanno formando e guardano avanti lo capiscono benissimo, sanno che qualsiasi cosa faranno domani, dovranno confrontarsi con l’Africa e sanno che la lingua è sempre lo strumento per entrare in contatto con la cultura di un popolo, e quindi con le persone. Per questo vengono volentieri alle mie lezioni», spiega la professoressa Mushi.

Ma sull’entusiasmo degli studenti e delle studentesse deve avere anche un certo peso la passione travolgente della professoressa, nota per il suo spirito d’iniziativa. In Università ha fondato un coro gospel, con un repertorio anche in swahili, che è stato attivo per qualche anno; con la collaborazione di un’azienda marchigiana ha aperto in Tanzania una scuola per la formazione di agronomi; e con il Cai di Bergamo ha lanciato un gemellaggio tra le Alpi Orobie e il Kilimangiaro per la salvaguardia delle montagne dove è nata.

«Non ho potuto avere figli, ma sono una credente, per cui penso che quello che succede nella vita non avvenga per caso – sostiene la professoressa Mushi –. E quindi sono convinta che il mio compito sia far conoscere ai ragazzi e alle ragazze che non ho avuto, la terra da cui sono venuta».

Un articolo di

Francesco Chiavarini

Francesco Chiavarini

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