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Giraud e l’economia del bene comune

09 ottobre 2025

Giraud e l’economia del bene comune

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Un’economia fondata sul bene comune come categoria imprescindibile per invertire il paradigma dominante. È la proposta avanzata da Gaël Giraud nel suo ultimo libro “Costruire un mondo comune. E Dio non benedisse la proprietà privata”, pubblicato da Libreria Editrice Vaticana e Piemme (2025). Teologo, gesuita ed economista, Giraud ha illustrato le tesi principali del suo recente libro durante l’incontro “A Plural World, a Common World”, promosso lunedì 6 ottobre dal Centro di Ateneo per la dottrina sociale della Chiesa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. 

Direttore di ricerca al CNRS di Parigi e membro del Jesuit European Social Center di Bruxelles, Giraud è una delle voci più autorevoli nel dibattito internazionale sul cambiamento climatico e sull’economia green. Figura di spicco nel panorama culturale internazionale, la sua riflessione si contraddistingue per porre al centro il «dialogo tra scienza e fede», come ha specificato la direttrice del Centro di Ateneo per la dottrina sociale della Chiesa Simona Beretta, nel presentare il professore. «Giraud è stato tra i primi a parlare di transizione ecologica, dando concreta attuazione all’invito di Papa Francesco di rendere transdisciplinare la teologia», ha fatto eco Lorenzo Fazzini, responsabile editoriale della Libreria Editrice Vaticana, anticipando che il volume è il primo di una serie, che prende le mosse dalla tesi dottorale di Giraud. Il secondo uscirà a metà 2026.

 

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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Anche se negli ultimi tempi la crisi ecologica sembra passata in secondo piano, l’emergenza ambientale resta una minaccia concreta per il pianeta. A tal proposito, l’economista ha mostrato alcuni grafici allarmanti riguardanti simulazioni del 2068. Tre le maggiori minacce figurano l’innalzamento delle temperature, la scarsità di acqua, la mancanza di cibo, le migrazioni climatiche. «Siamo già in ritardo per rispettare pienamente gli accordi di Parigi e, se non agiamo, entro il 2060 l’aumento della temperatura globale potrebbe salire di 2,3°C», ha osservato Giraud. «Questo renderebbe invivibili vaste aree del mondo, come America Centrale, India e Sud-Est asiatico, costringendo milioni di persone a emigrare». Una crisi globale, dunque, senza esclusioni di sorta. 

Da qui l’urgenza di agire, mettendo in pratica la transizione ecologica. Proprio come ci ha esortato a fare Papa Francesco con quattro documenti fondamentali per ribaltare l’immaginario antropologico occidentale: Laudato si’; Fratelli tutti; Querida Amazonia; Laudate Deum. «Papa Francesco ci invita a superare l’immagine dell’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci come simbolo dell’umanità. Un uomo isolato, senza donne, bambini, anziani né natura: la rappresentazione di una solitudine metafisica e di una visione tecnocratica del mondo, che non può più essere il nostro riferimento». L’umanità invece, ha chiarito Giraud, «è parte di una rete di relazioni con la natura». 

Un esempio concreto? Un bicchiere d’acqua che beviamo ogni giorno contiene molecole provenienti dalla traspirazione della foresta amazzonica. Questo ci ricorda che il nostro corpo è legato all’Amazzonia, e che la distinzione ontologica tra uomo e natura è illusoria. In molte culture africane, il termine ukama esprime proprio questa interconnessione: “tutto è legato”. 

Ed è qui che entra in gioco il concetto di bene comune, considerato da Giraud «la categoria centrale per comprendere il piano escatologico di Dio, per lavorare insieme e per costruire istituzioni democratiche solide». Esistono quattro tipi di beni: i beni comuni, i beni tribali, i beni privati, i beni pubblici, tutte categorie del diritto. Ma la più importante, a suo avviso, è quella di bene comune, definito da tre elementi: la risorsa; la comunità che decide di prendersene cura; le regole stabilite per proteggerla. È stata Elinor Ostrom, premio Nobel per l’Economia nel 2009, a studiare questi meccanismi. Ma già San Tommaso d’Aquino, nel XIII secolo, parlava della res communis come parte del diritto naturale. Per lui, la proprietà privata era solo uno strumento per semplificare la gestione quotidiana. John Locke, invece, rovescia questa logica: considera la proprietà privata un diritto naturale, sostenendo che il frutto del lavoro individuale debba appartenere al singolo. Due visioni che l’enciclica Rerum Novarum mette insieme, scritta com’è, per citare Giraud «con una mano che tiene San Tommaso e con l’altra che tiene John Locke». 

Diventa, pertanto, essenziale tornare alla definizione originaria di bene comune. Sebbene gli economisti fatichino a individuare esempi di beni comuni “puri”, questi esistono e comprendono risorse fondamentali come l’acqua, le foreste, il clima, gli oceani, la cultura, la scuola, la lingua… Beni che possono davvero essere la chiave di volta per affrontare e superare le grandi sfide del nostro tempo. La Bibbia ne è un chiaro esempio. È un testo «condiviso», «aperto all’interpretazione di tutti», proprio come lo sono i codici giuridici: beni comuni, accessibili e interpretabili dalle generazioni di tutte le epoche.

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