Ricercatori dell’Università Cattolica hanno isolato dalle radici di piante di pomodoro una “gang” di microrganismi "buoni" che proteggono le colture da infezioni e quindi indirettamente anche il consumatore dall’arrivo di tossine nel piatto. Il vantaggio è che basta trattare i semi delle piante una volta sola per rendere le piante che germinano protette dai funghi fino al raccolto, consentendo di dimezzare la dose di sostanze chimiche.
È quanto riferito dal professor Edoardo Puglisi della Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica, campus di Piacenza, che con il suo gruppo di ricerca ha condotto uno studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Microbiology.
Lo studio è stato condotto all’interno del progetto Probiopom, finanziato da Regione Lombardia. I risultati sono frutto di una collaborazione tra diversi colleghi della Facoltà: microbiologi (Edoardo Puglisi, Maria Elena Antinori, Gabriele Bellotti), patologi vegetali (Paola Giorni), chimici (Terenzio Bertuzzi) ed agronomi (Andrea Fiorini).
«I microrganismi isolati - ha spiegato il professor Puglisi - hanno grande importanza per la sicurezza alimentare (safety) in quanto riducono sia lo sviluppo di funghi del genere Alternaria produttori di micotossine, sia la produzione delle micotossine stesse. Queste sostanze prodotte da Alternaria sono tossiche per l’uomo, e la loro presenza negli alimenti è in via di regolamentazione da parte dell’EFSA».
I dati in letteratura indicano l’importanza di disporre di “pesticidi green” contro le infezioni fungine: basti pensare che le perdite sulle colture di pomodoro dovute ad Alternaria vanno dal 25 al 78% della produzione.
La riduzione di pesticidi che si può ottenere con l’utilizzo di questi microrganismi protettivi può arrivare al 50%, cioè a dimezzarne le dosi. «Abbiamo svolto delle prove dove abbiamo ridotto del 50% la dose di fungicidi ed utilizzato i nostri batteri – ha sottolineato Puglisi - garantendo la stessa produzione delle colture di controllo trattate con il 100% di fungicidi; questi risultati sono oggetto di una seconda pubblicazione attualmente in valutazione».
Tra tutti i microrganismi isolati gli esperti hanno saputo identificare i 12 ceppi più performanti. Diversi rizobatteri hanno mostrato una riduzione significativa della biomassa fungina (fino al 76%) e/o della produzione di micotossine (fino al 99,7%). Inoltre, gli stessi microrganismi isolati hanno dimostrato anche caratteristiche di promozione della crescita delle piante, confermando le proprietà poliedriche di tali microrganismi. Le specie di Bacillus, in particolare B. amyloliquefaciens e due ceppi di B. subtilis, hanno mostrato la massima efficacia nel ridurre la biomassa fungina e sono state efficaci anche nel ridurre la produzione di micotossine. I risultati suggeriscono che, sfruttando le diverse capacità dei vari ceppi microbici, usandoli dunque insieme con un approccio “basato sul consorzio”, fornirebbe un più ampio spettro di efficacia, segnalando così una risoluzione più incoraggiante per l'agricoltura sostenibile e affrontando la natura multiforme delle sfide biotiche legate alle colture.
«L’applicazione potrà essere estesa ad altre piante e soprattutto ad altri patogeni. Sono in corso prove anche per capire meglio i meccanismi con cui questi batteri sono in grado di ridurre la produzione di micotossine nei raccolti infestati dai funghi - spiega il professore - in seguito a questi studi sarà sicuramente percorribile la via della commercializzazione dei batteri fungicidi».
I batteri usati sono assolutamente non patogeni e non comportano rischi per il consumatore. Rispetto ai fungicidi chimici i batteri hanno inoltre il grande vantaggio di non indurre significativi meccanismi di resistenza.
«La riduzione della dose di fungicidi chimici va nella direzione richiesta dalla Comunità Europea con l’EU Green Deal, che stabilisce entro il 2030 una riduzione dell’uso di sostanze chimiche di sintesi in agricoltura», conclude Puglisi.