Per ascoltare i bambini occorre dare loro la parola.
Per farlo è però necessario un cambio di paradigma. A questo lavora da decenni Francesco Tonucci, pedagogista di fama internazionale, che è stato ospite dell’Università Cattolica (facoltà di Scienze della Formazione) per parlare del tema “La partecipazione dei bambini come sfida educativa e politica”.
Nel 1991 Tonucci ha fondato il progetto “La città dei bambini”. Era il 27 di maggio, lo stesso giorno in cui il Parlamento italiano ratificava la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Il progetto, che promuove il cambiamento del governo della città, assumendo il bambino al posto dell’adulto attribuendogli un ruolo attivo, nacque quando il consiglio comunale di Fano deliberò una settimana dedicata all’infanzia.
«Accettai la direzione scientifica perché si decise di farlo divenire un progetto vero e proprio, non soltanto un evento» ha chiarito Tonucci.
Accolto da Domenico Simeone, preside della facoltà di Scienze della Formazione, e da Pierpaolo Triani, direttore del Centro studi per l’educazione alla legalità, e presentato dalla direttrice del Dipartimento di Pedagogia Simonetta Polenghi, il pedagogista ha spiegato che l’educazione è una sfida. «Si ritiene - afferma - che i bambini debbano corrispondere ai livelli previsti dagli insegnanti e alle aspettative dei genitori, che debbano ascoltare e dimostrare quanto appreso comportandosi in modo conforme. Dato che partecipare significa condividere le scelte, accettare la loro partecipazione è una sfida perché mette in discussione l’ordine prestabilito».
È proprio la partecipazione quella che manca, ha detto Tonucci, benché sia «l’unica garanzia di un vero cambiamento». La trasformazione deve investire il ruolo della scuola: «Che i bimbi si annoino in classe è considerato normale - sostiene il pedagogista - ma contrasta con l’obiettivo fondamentale che si pone la scuola: l’apprendimento».
Ripercorrendo gli articoli della Convenzione sui diritti dell’infanzia, Tonucci ha spiegato che la scuola è stata resa obbligatoria per garantire uguali possibilità: «Aspetto in Italia sancito dalla nostra Costituzione, che afferma come sia compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che si oppongono a questa uguaglianza. Non c’è dubbio che la scuola sia lo strumento per eliminare gli ostacoli che la impediscono».
Tonucci però si è soffermato anche sull’articolo 29 della Convenzione. «L’educazione del bambino - dice - deve favorire lo sviluppo della personalità e delle sue facoltà in tutta la loro potenzialità. È così rovesciato il rapporto che si attribuisce all’apprendimento e all’esperienza scolastica. Obiettivo dell’educazione non è il raggiungimento di finalità prestabilite, semmai che ciascun bambino possa scoprire le sue attitudini, quello per cui è nato; la famiglia e la scuola gli devono fornire gli strumenti per sviluppare quelle attitudini». E ancora: «Nessuno dovrebbe prevedere quali saranno le professioni che funzioneranno domani, perché nessuno lo sa. Chi, anni fa, avrebbe pensato alla necessità di dovere reperire medici e infermieri?».
Quindi Tonucci è passato al ruolo attivo che il bambino può avere in politica. Alla sua partecipazione. «L’articolo 12 della Convenzione - dice - afferma che il bambino ha diritto di esprimere il proprio parere quando si prendono decisioni che lo riguardano e che le opinioni dei bimbi devono essere tenute in conto. È sconcertante: gli adulti si sono impegnati in quello, ma la grande promessa è divenuta una grande menzogna. Se li avessimo davvero ascoltati la scuola non avrebbe tenuto conto, nella sua formazione, solo di lezioni e compiti. Le stesse piattaforme della Dad sono state usate come fossero banchi individuali, piuttosto che adoperate per instaurare il dialogo».
La città ha nei bambini e nel modo in cui da questi è vissuta un indicatore importante. Il paragone che Tonucci fa con le rondini e con le lucciole, la cui scomparsa dai centri urbani è indicatrice di problemi ambientali, è chiarificatore. «I bambini non giocano più e la città si perde. Se scompaiono loro e i loro giochi significa che la città sta male, che esiste un problema, perché il gioco è l’esperienza più importante nella vita di una persona». E anche i termini adoperati hanno qui un loro peso, Tonucci non dice nella vita dei bambini, ma «nella vita di una persona».