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Cyberspazio, serve una nuova bussola

04 febbraio 2020

Cyberspazio, serve una nuova bussola

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Reati e frodi informatiche di vario genere popolano internet, si avvalgono della rete per compiersi o la utilizzano per diffondersi in maniera capillare. Ma le questioni che attanagliano i giuristi sono ben più complesse e richiedono un cambio di paradigma.

Come spiega Gabriele Della Morte, docente di Diritto Internazionale penale in Università Cattolica «il nostro edificio giuridico è costruito all’interno delle categorie di spazio e di tempo. Sono come una bussola per noi giuristi”. Sappiamo bene che qualcosa di accaduto cento anni fa ha un valore completamente diverso rispetto a qualcosa successo ieri: l’istituto della prescrizione per esempio – argomenta il professore - fa sì che un reato decada dopo che è trascorso un determinato lasso di tempo». Lo stesso discorso vale per lo spazio: «le norme sulla concorrenza prevedono che non si possano aprire due ristoranti con lo stesso nome a distanza di pochi metri».

Ben diverso lo scenario che si presenta navigando nel cyberspazio. Qui accade qualcosa che mette in crisi il Diritto: le categorie di spazio e tempo saltano completamente: «Su internet si possono aprire due ristoranti con lo stesso nome, così come una notizia che risale a 40 anni fa può risultare attuale perché tra le prime a comparire digitando una parola in un motore di ricerca».

La rivoluzione tecnologica come ogni rivoluzione produce cambiamenti che richiedono strumenti nuovi che stiano al passo. Ma il destino del Diritto è quello di arrivare dopo: «Il Diritto arranca dietro alla realtà, segue gli eventi, risponde in maniera maldestra e spesso in ritardo – chiarisce Della Morte. A che cosa servono le leggi sul fairplay elettorale che stabiliscono quanti secondi può parlare un politico distribuiti nei diversi canali pubblici o privati, se poi non sappiamo quali sono i messaggi profilati che arrivano su Facebook?».

La questione è che tipo di regolamentazione immaginare per questi nuovi fenomeni. «In Italia possiamo fare una legge molto articolata e completa, ma sarà pur sempre una legge con un'efficacia limitata ai cittadini italiani oppure al territorio italiano. Internet rompe il concetto di territorio, serve una nuova bussola». Secondo il professore è necessario innanzitutto ripensare le categorie di spazio e di tempo. Poi, andare a fondo di quei meccanismi che esercitano il potere e il controllo su individui e società. Questi temi interessano il progetto di ricerca della Cattolica ‘Funzioni pubbliche / poteri privati’, che studia da una prospettiva multidisciplinare, l’impatto degli algoritmi in ambito giuridico, politico e sanitario.

«Sono gli algoritmi che riescono a produrre valore e senso dagli agglomerati indistinti di dati – spiega Della Morte – per questo è importante capire come funzionano, chi li produce, chi li sta regolamentando». «Ad esempio, l’utilizzo degli algoritmi come prove nei processi – continua Della Morte – pone problemi enormi. Diversamente da un contratto firmato o un coltello insanguinato, per un giudice è molto difficile leggere quello che c’è nell’algoritmo e capire l’elemento discriminatorio originario, perché l’algoritmo è stato trasformato dalle informazioni che ha incamerato».

La rete stimola altre riflessioni giuridiche, come quelle sulla proprietà dei dati. «Alcune proiezioni dicono che tra trent’anni il numero dei morti su Facebook avrà superato quello dei vivi, un camposanto con 3 miliardi di bare, ognuna di queste conserverà post, foto, commenti inseriti all’interno del social network. Di chi saranno queste informazioni?». «Ai ragazzi – sottolinea Della Morte –  va spiegato che internet è come una macchina della memoria che non dimentica. La sua architettura è strutturata in modo tale che ogni informazione che ci mettiamo dentro resta, è indelebile, al massimo può essere nascosta, ma non cancellata. Il diritto all’oblio non è tanto la possibilità di nascondere un’informazione dalla rete quanto al limite la possibilità di deindicizzarla. Questo deve essere un tema pedagogico forte».

Un articolo di

Valentina Stefani

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